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Giuseppe Mannarino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Ragion d'essere della Filosofia

 

 

 

 

A MIO PADRE

CHE SENZA VELLEITà FILOSOFICHE E CATTEDRATICHE

VIVENDO INTEMERATAMENTE CIOè FILOSOFICAMENTE

CON L'ESEMPIO M'INSEGNA

CHE LA FILOSOFIA NON è IL FILOSOFATO MA IL FILOSOFARE

DEVOTAMENTE ED AFFETTUOSAMENTE

QUESTO LAVORO

FRUTTO MODESTO DI PERSONALI STUDI

DEDICO

 

 

AL LETTORE

 

Questo libro non piacerà quasi a nessuno: non ai filosofimilitanti cheavvezzi ad identificare la Filosofia con le rigide formule e conterminologia filosoficanon potranno concordare con noi nel disprezzo delleformule stesse di cui ci serviamo solo per mostrare il carattere transeunte difronte a quello universale della Filosofianello sforzo che noi facciamocontinuamentenon per impinzar l'opera a proposito od a sproposito di queiterminima per evitarli e rendere il lavoro intelligibile al maggior numeropossibile di persone; non ai mediocri cui certo non giungerà gradito un libroche si propone di smentire una convinzione in essi da lungo tempo penetratachecioè la Filosofianon solo non sia qualche cosa di astruso e di nebulosomaè la stessa Umanità.

Lo scriviamo in ogni modo lo stesso per soddisfare unaesigenza del nostro spiritoche è quella di potere e quindi di dover offrireil nostro contributonel limite delle nostre forzealla Filosofiasenzaalcuna mira personale cui il nostro modesto ingegno non può darci diritto; esaremo paghi se esso potrà essere utile a qualcuno sia perchéfilosofandosiavvii alla Filosofiasia perchése già filosofosi convinca che laFilosofia è nel suo pensarecioè nel suo filosofaree non già nell'altruipensato.

Nessun altro scoponessun'altra mira.

g. m.

LA RAGION D'ESSERE DELLA FILOSOFIA

_____________________________

 

 

 

Critica Scientifica e Critica Volgare

 

Gli uomini mediocriquelli cioè che i Romani solevanochiamare "vulgares" o che da se stessi si autodefiniscono praticiperil fatto che non riescono ad elevarsi da alcuni dati della conoscenza empiricaai principi universali del Saperepartendo da una pretesa contraddittorietào da una cosiddetta nebulosità della Filosofiaarrivano a concluderecon l'affermazione della inutilità di essa per i fini pratici della Vita e lenegano ogni ragion d'essere.

Giustamente dinanzi a queste negazioni i Filosofi ufficialisiano essi astri di prima o di seconda grandezzanon trovan che da fare unascrollatina di spalle e da ripetere con Dante:

 

«Non ragioniam di lor maguarda e passa»

e non potrebbe essere diversamente per colui cheavendodavanti alla mente i più grandi problemi dello spiritosarebbe costretto aconsiderare un puro perditempo occuparsi di tanto poco. Ben diversa è la nostraposizione di semplici e modesti cultori per i quali questo scendere apolemizzare coi "vulgares" potrebbe essere invece un salto alle piùalte vette della Filosofia umanase non di quella ufficiale: per questosenzaperdere quella calma e quella serenità di spirito che la Filosofia ha semprepreteso anche dagli ultimi suoi cultorici addentreremo nel processo chevogliamo fare fino in fondoprima di emanare una sentenza di condanna.

Dunque i vulgares diconoin parole povereche laFilosofia non ha alcuna ragione di essere perché non vi sono due filosofi chela pensino allo stesso modo: formulata in tal guisa l'accusa e la condannadovremo assodare tre punti e cioè in primo luogo se l'accusa risponda averitàpoi se essa costituisca - come suol dirsi - reatoinfinese a questo reato sia adeguata una sentenza di condanna alla inutilità equindi alla inesistenza.

L'accusa contro la Filosofia sarebbe motivatasecondol'asserzione che ci proponiamo di discutere in tutta la sua portatadal fattoche non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modo; ma ciòsenon andiamo erratinon significa altro che ogni filosofo la pensa a modo suoe cioè che tutti i filosofi sono originali. Non crediamo che su questopunto ci possa esser discordiain quanto la Filosofia non è che attivitàoriginale del pensieroe tutte le scuole filosofiche non possono checonvenire su questo: ciò premessoci pare che si debba dare come dimostratoche non solo tutti i filosofi sono originali e che quindi non ve nesono due che la pensino allo stesso modoma che non può esser filosofochi originale non sia e che filosofo non è chimancando di qualsiasioriginalitàva calcando le orme dei più grandi e nasconde la sua personadietro le loro platoniche spalle animato dallo scoponon di servire laFilosofiama di giungere non vistonon osservato da nessunoai posti dicomando nella gerarchia filosofica imperante.

Ammessa e provata anzila certezza della prima partepassiamo a discutere il secondo punto e cioè se questa contraddittorietàfilosofica ovverosia questa originalità dei filosofi sia un maleoper esprimerci in termini giuridicicostituisca reato.

Orase nella Storia della Filosofia non vi sono due filosofiche la pensino allo stesso modoè vero altresì che nella Storia delleReligioni non siamo mai riusciti né noiné altri a trovare due formereligiose perfettamente identiche - e pur ciò non può in alcun modoindurci a negare la ragion d'essere della Religione. Così nel Cristianesimovediamo che i Cattolici la pensano diversamente dai Luteranii Calvinistidiversamente dagli Ortodossi; vediamo che in tutti i tempi ed in tutti i paesidal suo seno si sprigionarono numerose eresie - e da ciò non ci sentiamoautorizzati a concludere che il Cristianesimo sia stato inutile opeggioancorache non abbia avuto alcuna ragione di esistere. Non diversamente nellaStoriaove è impossibile trovare due storici che concordino nella valutazionedegli avvenimenti umanipotremmo essere autorizzati ad affermareper es.chela Rivoluzione Francese non può essere scoppiata sul serio perché il Thiers lapensa diversamente dal Micheletil Taine dal Toquevilleil Carlyle dalSalveminie nemmeno potremmo affermare che essa non ebbe alcuna ripercussione(nella qual cosa è tutta la sua ragion d'essere). E passando al Dirittopotremmo forse noi fondarci sulle diverse definizioni della proprietàse essa sia legittima o illegittima e che cosa sia che la renda legittimaoppure sul concetto dei reati che varia non solo da epoca ad epocama dagiurista a giuristaper negarne l'esistenza? Così è pure dell'Arte quando noipensiamo che nella rappresentazione di uno stesso soggetto non possano esservidue artisti che si esprimano negli stessi termini: che vi ha grande divario traDante e Virgilioda cui pure il primo afferma di aver tolto lo bello stileche gli ha fatto onore: tra Prassitele e Scopa che respirarono l'aria dellostesso ambiente geografico e storico; tra l'Alfieriil Goldoni e il Parini cherisentirono le influenze del medesimo 1700; tra Mascagni e Puccini tra lorocontemporanei ese non andiamo erraticondiscepoli. E potremmo rinunziare adun accenno alla Politica ovefra gli affiliati ad uno stesso partitovi sonodelle divergenze così profondeche spesso provocano delle gravi scissioni. Manoi abbiamo fretta di giungere al campo delle Scienze Esattedelle Matematicheove pare a prima vista che due e due debbano far quattro per tutti; masolo checi si soffermi un pocosi scoprono le diatribe cui hanno dato luogo tutte lescoperte nuove perché la Matematica - e ce ne appelliamo ai suoi cultori - hapure una Storiae Storia significa svolgimentosviluppo. Lostesso è nelle Scienze Sperimentaliove non può essere ritenuto Scienziatochi si limita a catalogare dei datibensì chi apre ad esse nuovi campi connuove scopertecon nuove invenzionile quali non si aggiungono alle precedenticome francobolli nuovi alla colleziono di un filatelico senza modificar nullama le correggonole modificanole integranoquando addirittura non ledistruggono: così nella Cosmologia le polemiche fra Tolemaici o Copernicaniprovano che vi è tutt'altro che concordia tra quelli che sono i veriScienziatiese si pensi che il Copernicanismo trova un suo addentellato nelladottrina di Aristarco di Samosi può vedere come queste polemiche sianotutt'altro che incidentali; così nel campo della Medicina e della Chirurgia lepolemiche cominciarono fin dalla seconda metà del V secolo avanti Cristo con lescuole antitetiche di Cos e di Cnidoe continuano tuttavia ad essere dibattuteogni giorno sui grandi quotidianisulle Riviste Medichenel CongressiInternazionali - e ciò senza ricorrere all'amenità dei consulti medici in cuiè assai problematico il caso che due soli dei consultatiriescano a mettersid'accordo nonché sulla curaneanche sulla diagnosi. Ed infinenei nostripiccoli problemi quotidianipotremo dire che ci comportiamo tutti allo stessomodo o che non ci lasciamo piuttosto influenzare dalle nostre condizioni dispiritodalla nostra educazioneper cui ben si può ricordare il vecchiomasempre nuovoadagio tot capita tot sententiae?

Di fronte alla nostra modestama chiara argomentazione nonresta che fare due ipotesi: o la nostra è una pura e semplice chiamata dicorreotendente a travolgere nel processo e nella conseguente condannatutte le branche del Sapereoppure è stata una delusione quella dei nostriipotetici contraddittori i quali speravano di trovare il cadavere dellaFilosofia per menar vanto di averla assassinata con una semplice asserzione; madietro a questo cadavere hanno dovuto scorgere un vero e proprio cimitero apertodal loro stesso strale. Perché è stato da noi provato che nella Vita tutto èdibattitotutto è polemicatutto è discussione appunto perché è nellaVitaappunto cioè perché vive e vuol vivereperchése così non fosse unaunanimità sì pericolosa tarperebbe e per sempre le ali al Progressocostringendola nella cerchia angusta di verità già dateossia passivamentericevute dal di fuori senza che il pensiero le elaborasse dal di dentroper cuiil pensiero stessosospendendo la propria attività che è la propria Vitafinirebbe coll'annientarsi.

Dunque - direbbero i giudici - il fatto c'è ma noncostituisce reatoperché non può costituire reato il diritto a vivereancorché la nostra vita sia inutile; ma ciò non basta per ottenerel'assoluzione completa della Filosofiaassoluzione che vogliamo siae losaràun'apoteosi della medesima.

Torniamo perciò alla formula della sentenza: "LaFilosofia non ha alcuna ragion d'essere perché non vi sono due filosofi che lapensino allo stesso modo". Non è vezzo nostro offender nessunoperché ciò non entra nei limiti della polemica filosoficae sarebbe un'offesaper i nostri ipotetici contraddittori il ritenere questa una semplice asserzioneaprioristica: se essi affermano che la Filosofia non ha alcuna ragiond'essere perché non vi sono due filosofi che la pensino allo stesso modonoi abbiamo il dovere di credere che essi abbiano in qualche modo almenoconosciuto i filosofi per essersi accorti che non ve ne siano due che la pensinoallo stesso modo (e non avrebbero potuto accorgersene se non confrontandolicioè sottoponendoli alla propria critica personale) e chesolo in seguito aquesta superficiale o profonda conoscenza ed a questa criticaabbiano conclusoche la Filosofia non può avere alcuna ragion d'essere - ché in mancanza didatiossia di elementi di giudizionon si può giungereper quel chesappiamoa nessuna conclusione.

Ed allora essi hanno conosciutocriticatoassodatoconcluso sia pure a modo loroe non si sono accorti che questo conoscerecriticareassodareconcludere implica un'attivitàdel pensieroanzi è attività del pensierocioè Filosofia; nonsi sono accorti cioè che il loro è stato un procedimento filosofico vero eproprio in quanto dall'esame dei datirielaborati dal pensierosi è giunti aduna conclusioneche è una soluzione di un problema filosofico. Dal che sidesume che i nostri ipotetici contraddittori per negare la Filosofia han dovutofare della Filosofia perché non v'ha negazione della Filosofia che non siaFilosofia ad un tempo.

A questo punto noi potremmo dirci soddisfatti; peròa costodi riuscire fastidiosivogliamo essere esaurienti ed eliminare tutte lepossibili obbiezioni che ci si possano muoveredicendo che la Filosofia puòessere considerata sotto due aspetticioè come attività originale delpensiero checome talecostituisce il presupposto di tutti i sistemioppure nel suo ordinarsi in sistemicioè nel suo concretizzarsi nellaStoria: ora noi non abbiamo dimostrato altro che non è possibilebasandosisulla pretesa contraddittorietà della Filosofianegar questa sotto il primoaspetto per cui resterebbe assodato che la Filosofia sia semplicementeattività del pensieroma astratta e disordinata. Ci proveremo a dimostrareora che la Filosofiaappunto perché attività del pensieroha bisognodi concretizzarsi nella Storiaper modo cheuna volta ammessa la sua ragiond'essere per cui non si può fare a meno di essa neppure per negarlaneconcluderemo la necessità che essa si organizzi in sistemicioè che essanon possa prescindere dai sistemi.

Ora l'asserzione che noi discutiamo e che abbiamo definitovolgare non è in fondo che la traduzione in parole povere delle formule dello Scetticismo.Questa dottrina infattiutilizzando ai suoi fini la critica che ogni pensatoremoveva agli altriaffermando con Protagora che "l'uomo è misura di tuttelo cosedi quelle che sono in quanto sonoe di quelle che non sono in quantonon sono"e concludendo con Gorgia che "nulla esiste e chequand'anche esistessenon si potrebbe conoscere ese pure si conoscessenonsi potrebbe comunicare ad altri" - asserisce che la conoscenza è relativae toglie pertanto ad essa ogni valore assoluto. A dire il vero noi non riusciamoa vedere un gran divario tra l'asserzione dei mediocri e quella di Protagora edi Gorgia che giustamente il Troilo chiama "pensatori profondi" (eciò indipendentemente dal giudizio che egli dà sulla loro filosofia che nonpossiamo assolutamente condividere): ed allora questa negazione della Filosofiachea corto di argomentiè costretta a prenderli in prestito dalla Filosofiae per giunta ad uno dei suoi sistemi che dimostreremo essere il piùcontraddittoriosi riduce a Filosofia sia dal punto di vista della pura attivitàdel pensiero sia da quello del suo concretizzarsi nella Storiadel suoordinarsi in sistemi.

 

E passiamo alla seconda asserzione dei mediocri secondo cui laFilosofia sarebbe qualche cosa di astrattocioè di nebuloso perché nessunomai è venuto a dirci di quale oggetto concreto essa si occupi: naturalmenteessi premettono che il concreto sia ciò che cade sotto i nostri sensil'astratto ciò che non ha questi requisiti.

Oraciò ammessoseguendo il medesimo procedimentocercheremo di provare chenon la sola Filosofiama ogni branca del Sapere edogni attività pratica manca di quest'oggetto concretocioè sensibilematerialecorporeo. La Religioneper es.non ha nulla di concreto di cuipossa interessarsi in quantoessendo essa l'insieme dei rapporti che legano gliuomini alla divinitànon si può asserire che questi rapporti alcuno li abbiamai visti o toccati; ed analogo ragionamento potremmo noi fare per la Storia ilcui oggetto di studio non son certo i personaggi fisicibensì - anche aseguire la dottrina del Carlyle - la loro attività nel tempo e nello spaziocose tutte che mai son cadute sotto i nostri sensi. Non diversamente per ilDiritto che non può occuparsi di questo o quel terrenoma del principio diproprietà che non può esser nulla di sensibilenulla di corporeo. E passandoall'Arteè semplicemente una nostra illusione il fatto che cade sotto i nostrisensi il quadrola statuala nota musicale - in quanto non è in essil'oggetto dell'artebensì nella rispondenza dei medesimi ad una situazionepsicologica interna che l'artista ha voluto esteriorizzare. Quanto allaMatematica è noto a tutti che il suo oggetto di studio siano i numerilefigure geometrichele formule algebriche che non sono altro se non formaementiscreazioni mentali di cui ci serviamo per rappresentarci la realtàesteriorema che in questa realtà non trovano alcuna rispondenza. Forse aprima vista parrebbe che quest'oggetto concretocioè corporeo e materialepossano vantarlo le Scienze Sperimentalima così non è se noi vogliamoconsiderare che i corpi non sono l'oggetto di studio di dettescienzebensì i mezzi di cui esse si servono per scoprire i caratteri deicorpi stessicioè i rapporti che legano i corpi fra loro in relazione allaScienza singola: ese è cosìnessuno può dirci che questi rapporti cadanosotto i nostri sensi.

Dunque anche su questo terreno lo altre branche del Saperesono costrette ad onorare la Filosofia della loro solidarietàanche questoprocesso comincia a svolgersi come il primo. Procediamo dunque oltre e vediamose la seconda asserzionecome abbiamo dimostrato per la primapuò ridursi adun altro determinato atteggiamento del pensieroad un altro sistemafilosofico: per parlare di un astratto filosofico è necessarioopporgli un concreto pratico nel senso di corporeodi materialeche possa conferire una ragion d'essere ad un'altra qualsiasi branca dei Sapere;mapoiché l'atto conoscitivo non è né materialené corporeose ne deduce che l'oggetto dovrebbe esistere indipendentementedall'atto conoscitivocioè dovrebbe essere fuori della conoscibilitàperché ciò che è corporeo e materialeoccupando uno spazionon può esserein alcunché di immateriale che non occupa nessuno spazio. Vedremo in seguito seciò é possibile; per ora ci accontenteremo di constatare come quest'ammissionedi una realtà materiale al di fuori dell'atto conoscitivo sia la primadottrina affacciatasi nella Storia della Filosofia con TaleteAnassimene edAnassimandroe che ha preso il nome d' "ilozoismo" che è una formadi "empirismo dogmatico".

Dopo ciò non ci pare che meritiamo l'accusa di severitàse ci permettiamo di paragonare questi nostri ipotetici contraddittori cheperprovare l'inesistenza della Filosofiaricorrono ad argomenti che son propri di determinatiatteggiamenti del pensierocioè di determinati sistemi filosoficia quel libero pensatore chedovendo scrivere un'opera contro le superstizioninon voleva cominciarla di venerdì!

 

 

 

Coerenza e concretezza della Filosofia

 

Nel precedente capitolo il nostro buon lettore avrà notatouna certa insistenza da parte nostra ad accompagnare i termini contraddittorietàed astrattezza (nel senso di nebulosità) cogli aggettivi pretesae cosiddetta enotando tale insistenzaavrà certo pensato che unsiffatto accompagnamento non ha potuto avere per noi un valore semplicementecasuale.

Infitti noiservendoci dei termini contraddittorietà enebulositàl'abbiamo fatto per pura necessità polemicaper dimostrarecioè che se essi fossero sufficienti a provare la inesistenza o la inutilitàdi alcuna cosala Filosofia non sarebbe condannata da solaanzi sarebbel'unica branca del Sapere (se pure essa è una branca e non lo stesso Sapere) asalvarsitrovando la sua ragion d'essere anche in quelle negazioni. In questonoi seguiamo dunque Socrate che accettava le asserzioni dei suoi mediocriinterlocutori così come venivano formulate per giungere a delle conseguenze deltutto diverseforse anche opposte; e ciò perché noiconvinti col Brofferioche la chiarezza sia l'onestà dello scrittore ed anzi che loscrittore tanto più è onesto quanto più è chiarolungi dallo sforzarcicome i Filosofi ufficiali ad annebbiare di termini filosofici i loro scrittiunsolo sforzo abbiamo fatto e solo per essere intelligibili a tutti.

Dunqueavendo provato che i nostri ipotetici contraddittorinon sono che dei Filosofimalgrado la loro ostentata indifferenza per laFilosofiae che quindiessendo filosofisono contraddittori e nebulosianch'essipasseremo ora a provare come la Filosofia non sia contraddittoriaed astrattama coerente e concreta per eccellenza.

Nel precedente capitolo noi abbiamo identificato laFilosofia con l'attività del pensieronon per dare o accettare unadefinizione della Filosofiama solo perché ci pare che in essa tutti possiamoconcordaredai Filosofi ufficiali che lo affermano esplicitamente ai modesticultori quali noi siamoai "vulgares" che lo ammettono implicitamentenella prima asserzione secondo cui non vi sono due filosofi che la pensinoallo stesso modo il che equivale a dire che ogni filosofo la pensa a modosuo e non si contenta quindi di ripetere meccanicamente quello che hanno dettogli altri. Dunque anche i "vulgares" sono convinti che laFilosofa è null'altro che l'attività stessa del pensiero perché essichiamano contraddittoria la Filosofia in quanto è un perenne dibattitouna perenne discussioneuna perenne polemica; la chiamerebbero coerentese tutti i filosofi concordassero in tuttocioè se la pensassero nell'identicomodocioè se non fosse attivitàma semplice ripetizione meccanicache può essere attività della lingua o della manoma non del pensiero la cuiattivitàci sembra ovvioconsiste nel pensare.

Ed allorase la Filosofia è attività del pensiero el'attività del pensiero consiste nel pensareè chiaro che la Filosofia èil pensiero in quanto pensacioè semplicemente il pensieropoichéè inconcepibile un pensiero che non pensi perchécome talenon sarebbeattività e non sarebbe neanche pensiero.

Dunque la Filosofia è il pensieroe l'accusa dicontraddittorietà alla Filosofia non è che un'accusa di contraddittorietà alpensiero.

Oraper affermare che il pensiero sia contraddittoriocioèche in esso vi siano delle contraddizioniè necessario provarne lecontraddittorietàcioè cogliere le contraddizioni che siano nel pensiero.Ora noi ignoriamo che vi sia tavola logaritmica o strumento di gabinettoscientifico o di laboratorio medico-chirurgico che possa giungere a cogliere lecontraddizioni che siano nel pensieroper cui dobbiamo concludere che nullapuò cogliere le contraddizioni che siano nel pensierofuorché il pensierostesso. In altri terminiprima che il pensiero colga questecontraddizioninessun'altra cosa può averle colteper cui - non essendostate ancora colte - non si può ancora parlare di contraddizioni e dicontraddittorietà; ma se il pensiero le ha colte - poiché non può coglierleche il pensiero - esseper il semplice fatto di essere state coltesono stateeliminatecioè superate dal pensiero.

In conclusione il pensieromalgrado sia attivitàanziappunto perché attivitànon può essere contraddittorio (lo sarebbeinvece - e lo prova anche la grammatica - se non fosse attività cioè se forse pensieroche non pensasse e ripetesse) ma coerente per eccellenza; e quindiuna volta identificata la Filosofia col pensierose ne desume che essanon può essere contraddittoriama per eccellenza coerenteecioè che la Storia della Filosofia non è Storia delle contraddizionifilosofichema Storia del pensiero che continuamente elimina le contraddizioni.

 

Analogamente può dirsi della cosiddetta astrattezza onebulosità della Filosofia in quantoidentificata la Filosofia conl'attività del pensierocioè col pensiero che pensa omeglio e piùsemplicementecol pensierola Filosofia non può essere astratta se nona patto che sia astratto anche il pensiero.

Ora ciò può esser vero solo da un punto di vistastrettamente lessicale perchésenza alcun dubbioil pensiero non è qualchecosa che possa cadere sotto uno qualsiasi dei nostri cinque sensi; ma dal puntodi vista logico non può essere così perchése consideriamo il pensiero comeun astratto logiconoi dovremmo potere opporgli un logicoconcreto. Se non che noi questo concreto non potremo opporlo che pensandoe sarebbe quindi sempre il pensiero ad opporre un concreto all'astratto.Né in questo caso può giovare il sussidio della grammatica per cui èconcreto ciò che cade sotto i nostri sensi ed astratto ciò che nonrisponde a detta esigenza - perché in tal modo dovremmo ammettere che lenostre conoscenze concrete sono quelle che si acquistano per mezzo del sensicioè che siano concrete le sole sensazioni ed astratte le conoscenze che sianopostume elaborazioni del pensiero. Ma ciò è inammissibile perché possonocadere sotto i nostri sensi i sensi stessi che sarebbero perciò concretima non le sensazioni cheessendo pur esse pensierosarebbero astratte- ed allora nessuna conoscenza sarebbe concretama sarebbero al contrarioastratte tutte le conoscenze.

In ogni modoad esuberantiam e per fare ancoraun'altra concessione ai nostri ipotetici contraddittoriproviamoci anche noi adopporre al pensiero la sensazione per vedere se possiamo giungerealla stessa conclusione.

 

Spieghiamocicome suol dirsicon un esempio: se abbiamovicinissimo a noi un nano e ad una grande distanza da noi un gigantela nostrasensazione visiva (chein termini volgariè l'istantanea del colpo d'occhio)non può dirci altro se non che la corporatura del nano è più grande assai diquella del gigante. E pure nessunoa meno che non si tratti di un allucinatoconcluderà in tal modoma proprio nel senso oppostoe dirà che lacorporatura del gigante è infinitamente più grande di quella del nano benchéa noi la distanza faccia vedere il contrario. Tutto questo perché èintervenuto in noi quello che il Locke chiama senso internoriflessionee che non è che il pensiero in quanto attivitàcioè il pensiero chepensandoha raffrontato fra loro una serie di sensazionidi percezioni e diesperienze precedentemente acquistate come la statura del nanoquella delgiganteil rapporto tra la statura del primo con la statura del secondo e poidi tutte e due le stature con quella mediala distanza tra noi ed il nanotranoi e il gigantetra il gigante ed il nanola esperienza precedentementeacquistata che l'aumento della distanza rimpicciolisce i corpi rispetto allanostra vista.

Ora noi siamo perfettamente convinti che nessuno può fare ameno di accettare come vera la conclusione cui è giunto il pensieroe come illusoria quella dataci dalla sensazione visivaper cuiostinandocia chiamare astratto il pensiero e concreta la sensazione considerandolacome opposta al pensiero (il che abbiamo provato essere impossibile)arriveremmo ad un'assurdità tale che ripugnerebbe non solo ad ogni principiofilosoficoma anche ad ogni elementare criterio di buon sensoaffermando che solo concreto è l'errore e solo astratto la verità.

Poiché riteniamo che faremmo torto a chiunque se loritenessimo capace di tantoresta provato che il pensiero non puòessere astratto malgrado sia attivitàanzi appunto perché attività eche la Filosofia non essendo che attività del pensiero ènon astrattama per eccellenza concreta.

La Filosofiai Filosofi ed i sistemi filosofici

 

Abbiamo visto come la ragion d'essere della Filosofia siatutta nella sua identificazione coll'attività del pensierocioè col pensierostessoed abbiamo anche provato che la Filosofia non si può negare se nonpensandocioè facendo della Filosofia. Ora questa identificazioneche èstata la conclusione di altre premesse poste dai "vulgares"diventala premessa di un'altra conseguenza cui abbiamo accennato e che ora proveremocioè che la Filosofia non possa concepirsi se non si ordina in sistemiovverosia se non si concretizza nella Storia.

Infattidimostrato che il pensiero cioè la Filosofia sia coerentee concretane scaturisce che l'attività del pensiero non possa esseredisordinata e caoticatale cioè cheponendo a se stessa una premessapossagiungere ad una conclusione contraddittoria oppure tale che possa porre dellepremesse contraddittorie per ogni singolo problema e quindi giungere a delleconclusionicioè a delle soluzioni per ciascun problemache siano tra lorocontraddittorie.

Il pensiero è coerente a se stesso e concreto perciòpensandoè necessario che si prospetti tutti i problemi secondo un'unicavisualecioè che ponga a se stesso un principio unitario secondo cui siapossibile la soluzione dei problemi postisi in modo coerente e concreto; inaltri termini è necessario che il pensieroper la sua coerenza e per la suaconcretezzasi organizzi in sistemi in cui tutte le parti siano perfettamentearmoniche fra loro e che offra delle soluzioni concrete ai singoli problemi chepone a se stesso.

Orapoiché nessun sistema può essere estraneo all'altro inquanto ogni sistema è sintesi e negazione di quelli che lo precedetterocioèpoiché ogni sistema non può ignorare gli altri anche per svilupparlicorreggerli o negarli - questo ordinarsi in sistemi è un concretizzarsinella Storia: e difatti il pensieroessendo attivitàè svolgimentocioè Storiae la Storia non si svolge caoticamentema logicamentecioè inperiodi - ed i periodi della Storia della Filosofia sono appunto i Sistemi.

In questo concordiamo perfettamente coi Filosofi e concordanoanche i "vulgares" checome abbiamo provatoper sostenere lo proprieargomentazioni non han fatto che ricorrere ai sistemi filosofici.

 

Il nostro dissenso dai Filosofi militanti comincia invece làdove noi consideriamo i sistemi come i momenti storici dell'attivitàdel pensieroossia della Filosofiamentre essipur verbalmenteammettendo quel che noi diciamo e che del resto non siamo i primi a direnellasostanza poi identificano la Filosofia coi sistemi filosoficicioè col sistemafilosofico da essi fondato o preferito: confondono cioè la Storia con uno deisuoi periodi.

Ora a noi modestamente sembra cheidentificata la Filosofiacon l'attività del pensieroessa non possa identificarsi con un sistema che èun momento solo dell'attività del pensieroed è assurdo ritenere che ilpensiero possa identificarsi con un momento della sua attività.

Esula completamente dalle nostre intenzioni scrivere unastoria della Filosofia od anche una semplice esposizione più o meno critica deisistemi; ma crediamo opportuno accennare ai principali di essicioè aiprincipali momenti storici dell'attività del pensiero che per noi sono quello dogmaticoquello scetticoquello critico e quello conclusivo o idealistico.

è naturale che all'uomo la prima verità che si presenti èquella che gli offrono i sensi senza che egli si avveda di questa sua attivitàsensorialeper cui egli s'illude di essere una cosa tra le altre cose dellaNaturae non è meno naturale che egli creda ciecamente in questa verità chegli pare si presenti dal di fuori senza che egli vi metta nulla del suo chedarebbe un carattere subbiettivocioè personalealla sua conoscenzala qualeinvece non può avere valore assoluto se non è obbiettivacioè comune a tuttigli esseriuniversale. Siamo al momento dogmaticoal momento cioè incui il pensiero accetta senza sottoporla ad alcuna critica la realtà che credegli si presenti dal di fuori.

Però ben presto questo dogmatismo viene scosso quandodiversi uomini empirici od anche lo stesso uomo empiricoin diverse condizionidi tempo e di luogovedranno presentarsi quella medesima realtà sotto variaspettied allora essi penseranno che un solo oggetto sia tanti oggetti quantisono gli individui che ne imprendono lo studio: con questo si arriva allanegazione di ogni valore assoluto alla conoscenzacioè alla affermazione dellarelatività della conoscenza - ed è questo il momento scettico.

Ma il pensiero non può fermarsi qui perché lo scetticismooper essere più esattila scepsicioè il dubbioconcludendoper la relatività della conoscenzademolisce la conoscenza stessaprivandoladi ogni criterio di certezzacioè di ogni valore universale. A ciò si ribellalo stesso senso comune perchécontro l'affermazione che ogni uomo ha un suomodo particolare d'intendere la realtà per cui vi sarebbero tante realtàquanti individuista il fatto che tutti gli uomini riescono almeno inqualche modo ad intendersied allora il pensiero cerca di spiegarsi ilperché noipur pensandola diversamenteriusciamo ad intenderci e quindisottopone alla propria critica la realtà per distinguere ciò che apparisce aisingoli e che quindi varia da individuo ad individuoe che i filosofi chiamano empiricoo fenomenicoda ciò che invece è uguale per tutticioè universalerazionalenoumenico.

Ed eccoci al momento critico.

Finalmenteassodato ciò che è universalegiungiamo almomento conclusivo che possiamo anche chiamare idealistico per ilfatto che l'universaleil razionaleil noumenico è unprodotto della menteè cioè idea.

 

Ora questa nostra breve esposizione deve essere ben tenutapresente per poter andare avanti nella letturama soprattuttodeve essere beneintesa in quanto noi non abbiamo voluto darle quella fissitàquella staticitàdi Augusto Comteper esempioche divide la storia nei tre periodi miticometafisico e positivoe poco manca che non stabilisca le datedella fine di un periodo e dell'inizio di un altro; noi abbiamo fatta questasemplice esposizione solo per facilitare l'intelligenza del nostro lavoro. Ogniuomo infattifilosofo o vulgarispensandoattraversacontinuamente questi quattro momenti storici del pensiero - e perciòstandoalla sostanzatutti i filosofitutti gli uomini in quanto pensano sono altempo stesso dogmaticiscetticicritici ed idealisti- per modo chel'affermare che un Filosofo sia da catalogare fra i seguaci diun sistema anziché tra quelli di un altroha un valore relativocioèempiriconel senso che in quel filosofo prevale un momento storico piuttostoche un altro; ed il nostro asserto è provato dal fatto che i vari storici dellaFilosofia non son d'accordo nella classificazione dei Filosofi in questideterminati atteggiamenti del pensiero o sistemi che dir si voglia.

Confessiamo che le nostre espressioni catalogare e classificareriferite ai filosofi ci sembrano non solo irriverentima addirittura infelici eche ci sono oltremodo antipatiche perché rassomigliano i filosofi stessi adegli oggetti che si possano ordinare in gruppi e sottogruppiin generi esottogeneriin specie e sottospecie; ma purtroppo abbiamo dovuto seguire unandazzo divenuto oggi di moda dacché si ama scrivere la storia dei singolisistemi filosoficicioè di un singolo atteggiamento del pensieroindipendentemente dagli altri atteggiamentidagli altri sistemi e senzariflettere che - come abbiamo dimostrato - il pensiero non é coerentenéconcreto fuori della sua attività.

Ora il sistema preso in se stessocioè indipendentementedagli altri sistemidovrebbe essere preso in se stesso anche indipendentementedai Filosofi che lo fondanolo seguono o semplicemente lo preferiscono - e ciòper il fatto che il sistemaessendo sistemadovrebbe avere deicaratteri fissi e staticidegli elementi cioè che rimangono tali pure in mezzoal variare del pensiero dei filosofi che lo seguono; se non che il sistemanon può avere valore per se stessoma questo valore lo riceve appunto daiFilosofi che lo svolgonoe non possono svolgerlo che attraversando i quattromomenti storici dell'attività del pensiero.

 

Ed allora la Filosofia è inconcepibile fuori del suoconcretizzarsi nella storiafuori cioè del suo ordinarsi in sistemi; ma ancheil sistema é inconcepibile fuori della Filosofiacioè fuori dello svolgimentodi tutti i sistemi come un periodo storico non può spiegarsi indipendentementedai precedenti che lo determinarono e dalle conseguenze che determinò; che seun periodo storico non ebbe alcun determinante né alcuna ripercussione puòesser fatto storiconon storia - e se un sistema filosofico non ha unaddentellato nei sistemi che lo precedettero e non é destinato a suscitarealcuna ripercussioneesso non é più pensieroma pensato; èsìun prodotto dell'attività del pensieroma non è l'attivitàstessa del pensiero e quindi non è più filosofia. Ora una distinzione frail pensiero che è rappresentato dai Filosoficioè dagli uomini chepensano in quanto pensano ed il pensato che è rappresentato dai sistemiFilosoficicioè da quello che i Filosofi hanno pensato non è possibile cheempiricamenteperchéo il sistema filosofico è il pensatocioè quello che i Filosofi hanno pensato ed ora non pensano piùed in questocaso esso non è più pensiero e quindi non è più filosofiama semplicementeoggetto di ieratica contemplazione; oppure esso è il pensato che iFilosofi pensano od anche ripensano ed allora esso non è più pensatoma pensierocioè attivitàoriginalità.

É quindi solo per necessità polemica che noi concordiamoper un momento con tutti i Filosofi militanti che portano la tessera ed ildistintivo di una scuola ed esaminiamo il pensatocioè il sistemavale a dire diamo per realizzato in un sistema il pensiero che inveceanostro avvisoper il fatto che pensa sempre e cioè realizza sempre se stessonon può essere mai realizzato. Vedremo a quali conseguenze saremo condotti.

 

Cominciamo dal dogmatismo: esso premette che non possaesservi altra realtà che la Naturama identifica questa Natura con la Materia.L'uomo stesso viene ad essere considerato come qualche cosa che si trovi fra lealtre cose nella Natura e perciò viene considerato come Materia: tutto ciòpuò essere utile ai fini pratici della scienzamadal punto di vistafilosoficopresenta gravi difettiperché se la Natura deve essere concepitacome Materiae poiché concepire significa ridurre la realtà esternain concetticioè in schemi della nostra menteè evidente che ciò che laconcepisce non può essere che il pensiero. Ma il pensiero èimmaterialecioè irriducibile alla Materiae conseguentemente non dovrebbeesistere se altro non esiste che la Materia.

Né meno gravi inconvenienti presenta il dogmatismomoderno chenon potendo eliminare l'attività del pensieroriduce ilpensiero stesso ad una secrezione delle glandole cerebraliperchéinquesto casoverrebbe annullata la legge fondamentale dello stesso dogmatismoper cui in Natura nulla si crea e nulla si distrugge se noi dalcervello-materia facessimo derivare il pensiero che non è materia e che allaMateria non può assolutamente ridursi.

Abbiamo dunque cercato di esaminare un sistemaed abbiamovisto come essoponendo come principio unificatore della Vita la Materiasia contraddittorioed astratto: contraddittorio perché rappresenta uno sforzo delpensiero per negare il pensieroastratto perché la Materia intanto ha un valore filosofico in quanto è riducibile a concettie non puòesserlo se non per opera del pensiero. Mase è astratto il sistemain quanto rappresenta il pensato che ora più non pensiamose essoè contraddittorionon sono contraddittori né Taletené Anassimenené Anassimandro i quali rappresentano il pensiero in quanto attivitàed inmezzo al variare delle forme davanti ai nostri sensi cercano un principiounitario nell'acquanell'arianell'infinitoper dare coerenza e concretezzaalla Vita ed al pensiero; non lo sono gli Atomisti che di fronte al motochegli Eleati negaronocercarono di spiegarsene le leggi che sole avrebbero potutodare coerenza e concretezza al moto stesso; non lo sono il Moleschott ed ilVoigtnon il Darwin ed il Buechner i quali - di fronte al problema centrale delpensiero inspiegabile in un sistema prettamente ilozoistico e materialistico -tentano di superare la contraddizionecercando di ridurre il pensiero amateria.

Ma non sono astratti e contraddittoriper unaragione semplicissima che non sono né dogmaticiscetticicriticiidealistima sono dogmaticiscetticicritici ed idealisti ad un tempocioè sono semplicementefilosofiuomini che pensano. E difattiperché cercare il principio unitariodella Vita se fossero dei perfetti dogmatici e se non avessero alcundubbio sulla realtà esterna che si presenta loro attraverso i sensi;poiché il dogmatico crede e non dubita come lo scettico enon ricerca come il critico? perché ricercare le cause del moto?perché cercare di spiegarsi il problema del pensiero che pur non cade sotto inostri sensi? - Quel che si cerca si cerca appunto perché non lo si possiedeperché si dubita intorno al possesso - e quindi chi cercaoltrea credere alla trovabilitàdubita di possedere - cioè è dogmaticoscettico e critico ed è anche idealista allorché giungead una conclusione suaperchéattraverso ad un processo mentalegiunge adaffermare un'idea.

Parimenti potremo dire dello Scetticismo se noi loconsideriamo in sé cioè indipendentemente sia dagli altri sistemi che daiFilosofi che lo pensarono - posto sempre che sia possibile -. Infattiprescindendo dall'opera di Protagora e di Gorgiadi Pirronedi Hume e delRensi che non sono soltanto scetticima sono filosofiil momentoscettico dovrebbe essere caratterizzato da queste proposizioni di Gorgia:a) nulla esiste; b) qualora esistesse non si potrebbe conoscere;c) se pure si conoscesse sarebbe impossibile comunicarlo ad altri (beninteso che in queste tre proposizioni non intendiamo riassumere il pensiero diGorgia che non è contraddittorioné astrattocome vedremobensì il pensatocioè quello che Gorgia ha pensato). Ora in tutte le tre proposizioni troviamoanzitutto come soggetto la parola "nulla"che ha un valore assolutocome l'altro termine dei dogmatici "tutto"; ed infatti tanto iltutto quanto il nulla non ammettono eccezioni di sortama mentreciò nel dogmatismo è spiegabilenon lo è per lo scetticismoche vorrebbe concludere per la relatività della conoscenza senza tenerconto che l'esigenza dell'assoluto è manifesta proprio nelleproposizioni di questo relativismo per cui nulla è assoluto e tutto relativo.

Questo per la linea generale; ma anche ciascuna proposizioneè contraddittoria per se stessain quanto affermando che nulla esistesi afferma già l'esistenza di una cosacioè l'esistenza di una verità percui non esisterebbe nullaed allora il nulla ammette già una eccezionee perciò non è più "nulla". cioè assoluto. Così èdell'altra proposizione: "niente è conoscibile"perchésesi afferma che non si può conoscere nulla con una tale sicurezzaè chiaro cheuna cosa almeno si conosce; e se non si può comunicare nulla agli altrisi può per lo meno comunicare che nulla è comunicabile.

Mase lo scetticismo preso in sé si dibatte inquesta serie di contraddizioninon è però giusto chiamare contraddittorioil pensiero di Gorgia che è invece coerentissimo in quantodi frontealle assolute e contrastanti affermazioni degli Eleati e degli Atomisticercadi darsi una spiegazione di tanto variar di opinioni e questa spiegazione sidàspostando la realtà dalla Natura-materia all'uomo sia pure empiricocioèindividualmente ed astrattamente preso; ma se noi guardiamo sotto questo puntodi vista il pensiero di Gorgiacioè lo consideriamo come pensare e noncome pensatoallora vedremo che Gorgia non è solo scetticoperché dubitama è al tempo stesso dogmatico perché credeall'assoluta inesistenza di alcuna cosa; critico perché sottopone al suopensiero l'esame delle altrui teorie; idealista perché giunge e giungepensando ad una conclusione suaall'affermazione di un'idea.

Non diversamente si può concludere per il criticismo:se noi lo consideriamo come pensato che più non pensiamoesso non puòessere però più criticismoma dogmatismo o scetticismo(che è poi un dogmatismo negativo); se invece continuiamo a pensarlo epensandololo critichiamoallora faremo sì della filosofiama saremo fuoridel sistema fisso e chiuso nelle formule socratiche o kantiane. è dunquecontraddittorio il criticismo come pensatoma non sonocontraddittori Socrate e Kant in quanto pensanoe cercano di superare l'uno lecontraddizioni della dottrina eleaticaatomista o sofistical'altro quelledell'empirismo e del razionalismo considerati come sistemi.

Ed infine veniamo al momento conclusivo o idealista.La contraddittorietà e l'astrattezza non consistono nello sforzodi Platone o del Gentile per giungere ad una conclusione: finché questo sforzorimane sforzocioè pensiero che pensanon può essere contraddittorio néastratto per quel che abbiamo dimostratodiventa invece l'una cosa e l'altraquando è ordinato in sistema preso in sécioè quando diviene pensato.

Infattimentre Platone è coerente e concreto allorché alsoggetto socratico rimasto privo di oggetto oppone un oggetto senza cui ilsoggetto non potrebbe esistere e quindi non sarebbe soggetto concretol'idealismo trascendente è contraddittorio ed astratto perché le Idee -considerate come innate - essendo poste fuori del pensiero che le pensadiventano oggetti di cui poi dovrebbe esistere il pensierocioè l'Idea. Ecosìmentre è coerentissimo e concretissimo il Gentile perché cercadifronte alle difficoltà che presenta il dualismo di trascendenza ed immanenzadi assorbire la prima nella seconda con l'atto purol'attualismoconsiderato indipendentemente dal Gentilenon lo è affattoperché identificandoil pensiero con la realtàsarà pur necessario domandarsi se ilpensiero è realtà perché è pensiero e cioè se tutto ciò che èpensiero è realtàvale a dire se il fatto di esser pensiero siacondizione necessaria e sufficiente per essere realtànel qual casotutti i pensieri sono veri e quindi tanto quello del Gentile che identifica ilpensiero con la realtàquanto quello di coloro che ammettono la trascendenza enegano questa identificazione; ma se noi ammettiamo questa identificazione ediciamo che non sono pensieri veri quelli che non identificano il pensiero e larealtà - abbiamo che vi sono dei pensieri che non sono realtà; e se infinecrediamo che solo il pensiero che identifica pensiero e realtà è veroe chegli altri non sono veriallora giungeremo alla conclusione che il pensiero nonè realtà perché è pensiero ma che è realtà solo se è realtà. In altritermini l'esser pensiero non è condizione sufficiente per essere realtàequindi la realtà è qualche cosa di diverso dal pensieroè qualche cosa chetrascende il pensiero - e così l'attualismo cela in sé un'aspirazionealla trascendenza che s'illudeva di avere distrutta. E questo che noi veniamodicendo viene confermato dalla crisi interna che travaglia l'attualismo eche allontana ogni giorno dal medesimo quelli che sono o furono i suoi pensatorioriginaliil Casottiil Redanòil Papafavail Carliniindirizzandoli perdiverse vie.

In conclusione la contraddittorietà e l'astrattezzadei sistemi filosofici non è nel pensiero del singolo Filosofo nel quale laFilosofia si rende coerente e si concretizza storicamentema è nel sistemastesso considerato astrattamentecioè astraendo dagli altri sistemi - equesto perché ogni sistema è filosofiama nessun sistema è laFilosofiacioè tutta la Filosofia che è attività del pensieroquindiStoria: cioè ogni sistema finché è pensiero che pensa è realtà (e fin quiconveniamo con l'attualismo)ma nessun sistema è tutta la realtàperché anche gli altri sistemi sono realtà - quando però da pensierodiventa pensato e cioè non si pensa piùma si organizza in formulefisse alle quali si giura come in verba magistriallora si contraddicerisolvendosi negli opposti perché in ogni sistema appaiono gli altriognisistema si riduce agli altri o meglio si dissolve negli altri appunto perché isuoi Maestrii suoi fondatori non sono - come dicemmo - dogmaticiscetticicritici ed idealistima semplicemente filosoficioè pensatorioriginali.

Dunque appunto in questo può trovare l'unicagiustificazionel'unica spiegazione l'asserzione dei "vulgares" cheattribuiscono alla filosofia una pretesa contraddittorietàunacosiddetta astrattezza che noi abbiano confutato e crediamosufficientemente: non nella Filosofia stessain quanto attività del pensieroche si concretizza storicamenteordinandosi in sistemibensì nel sistemain sé già ordinatonel pensato che il pensiero non pensa più.E questa giustificazione sono proprio i Filosofi militantigli astri cioè diseconda grandezzache la offrono perché - essendo in ogni sistema un residuodi dogmatismo - essiincapaci di creare o di sviluppare quelle che sonle parti vitali del sistematrovano assai più facile e più comodo fermarsi suquesti residuicioè sulle formuleo dogmatizzare tutta la dottrina di unpensatore originale; allora le opere di costui diventano un testo sacrol'attività dei discepolianziché essere uno sviluppo di questa dottrinasilimita alla più semplice funzione di volgarizzazione degli scritti del Maestro;ed intorno a questi si costituisce una cosiddetta scuola filosofica con tutti icaratteri delle scuole esoteriche orientalicoi riticon le formulecon lescomunichecon la gerarchia nettamente delineata che va dal Maestro stesso aiprimi discepolicui si affidano le cattedre di primaria importanzaaidiscepoli minori che stanno a custodia negli Atenei di second'ordineai neofiticuiprevio giuramento di fedeltà in base ad un determinato ritualevienefinalmente assegnata la cattedra nel Liceo. E se è contro questa Filosofia chele asserzioni dei vulgares son direttenoi non abbiam nulla da eccepire;ma resta dimostrato a sufficienza che le accuse e le condanne contenute inqueste asserzioni non toccano la Filosofia in quanto attività di pensieromasolo alcune formule che costituiscono il pensato e quindi non sono più pensierocioè filosofia; non toccano la storia della Filosofia in cui laFilosofia si concretizzama semplicemente una Cronaca che pur ripetendosicontinuamentenon è Storiama negazione della Storia; non toccano i Filosoficioè gli uomini in quanto pensatori originalima solo alcuni uomini empirici -chein termini volgarisi chiamano profittatori - cui la Filosofia serve e chela Filosofia non servono.

 

 

 

Identificazione di Filosofia ed Umanità

 

Nel primo capitolo di questa modesta trattazionepartendodall'asserzione di mediocri che alla Filosofia negavano la sua ragion d'esserebasandosi sulla sua pretesa contraddittorietàsiamo arrivati aconcludere identificando questa asserzione con le proposizioni scettiche di dueprofondi pensatori come Protagora e Gorgia - e similmentepartendo da un'altraasserzione dei "vulgares" che condannava la Filosofia alla inutilitàe quindi alla inesistenzafondandosi sulla sua cosiddetta astrattezza e nebulositàsiamo giunti alla identificazione di quest'altra asserzione con la dottrinadell'empirismo dogmaticopropria delle scuole presocratiche e di quellaionica segnatamente.

Ora in ciò è già implicito quello che in questo capitoloci proponiamo di dimostrarecioè l'identificazione di Filosofia ed Umanitàvale a dire l'umanità dalla filosofia - che è solo nostro eccessivodesiderio di chiarezza che ci vieta di omettere questa partedell'argomentazione.

Infatti è stato precedentemente da noi provato che tantoquelle che ci sembrano asserzioni di mediocriquanto quelle che sonoproposizioni di pensatori più o meno profondinon solo implicanocioèpresuppongonoun processo mentalevale a dire un'attività del pensiero masono addirittura lo stesso processo mentale e la stessa attività del pensieroperchénelle une come nelle altreè insita la conoscenza di elementilacritica valutativala conclusione affermativa o negativa - per cui noi possiamosenz'altro considerar come filosofia tanto quelle volgari asserzioni quantoquelle proposizioni profonde. Che se poi noi guardassimo e le une e le altreindipendentemente dall'attività del pensiero che le pensa e giunge ad esseattraverso un processo mentaleallora esse si ridurrebbero a formule fissee quindi sarebbero pensatoma non più pensieroe perciò nonsarebbero più filosofia.

Pertanto - intendendo per filosofia l'attività delpensiero e per volgarità la confusione che vulgares e filosofiufficiali fanno tra pensiero e pensatocioè tra l'attività delpensiero ed il suo prodotto (checonsiderato indipendentemente dall'attivitàproduttriceè nozione cioè sapere empirico o sapere volgare)- è ovvio che vi sia della filosofia nei vulgares come della volgaritànei filosofi ufficiali.

Dunque tra vulgaris e filosofo non può esserviantitesi se nell'uno e nell'altro vi sono gli stessi elementiattivitàdel pensiero e passiva contemplazione dell'altrui pensato: vi èsemplice differenza quantitativa consistente nel diverso grado di cultura enella diversa intensità del potere di assimilazione della cultura stessa. Ma el'una e l'altra cosa - se ben si osservi - riguardano le "nozioni" chesono l'oggetto del Saperenon mai il Sapere stesso che è la attivitàconoscitivacriticacoordinatrice e conclusiva del pensieroe checome taleè comune agli uni ed agli altri come abbiamo avuto modo di vedere.

Se quindi noi non teniamo conto di questa differenzaquantitativa che riguarda il pensato e ci fermiamo sul fondamento delSapere che è il pensiero - allora vedremo facilmente che la distinzionedegli uomini in volgari e filosofi ha un valore meramenteempiricoma non filosofico - anche quando essa da alcuni filosofi ufficiali èaccettata come dogma.

Fra vulgares e filosofi v'hain altri termininon antitesima identità sostanziale in quanto gli uni e glialtri pensano perché sono uomini.

Quanto noi abbiamo detto è inoltre confermato dallo stessotermine "filosofia" che altro non significa se non amore delSaperee cioè (poiché amore è aspirazione al possesso) aspirazione alpossesso del Sapere. È naturale ed evidente che quest'aspirazione sia comuneagli uomini ­ - mediocri o filosofi - per il fatto che essa richiedepergiustificarsidue condizioni necessarie e sufficienti: il non possedere ciò acui si aspira ed il possedere i mezzi atti a conquistarlo od a produrlo.

Ora èda quanto abbiamo dettoovvio che il Sapere non puòesser posseduto dall'Uomo che invece continuamente lo conquista e non è menoovvio che è solo l'Uomo che possiede i mezzi atti a conquistarlo e produrlo: ilpensiero.

È forse su questo punto invece che i filosofi ufficialii quali hanno naturalmente interesse di difendere il loro potere oligarchicosifermano per mantenere la loro distinzione dogmatica: infattisecondo questii vulgaresavrebbero la pretesa di possedere il Sapere per il fatto di possedere le nozionie quindi lo confonderebbero con esse; ma un'obbiezione di tal genere cirichiamerebbe a quanto abbiamo detto prima per il fatto che questaantifilosofica pretesa - più che dei mediocri - è prerogativa dei filosofiufficialialmeno dagli astri di seconda grandezza in poisempre che noi liriguardiamo nella loro attività teoretica e praticaladdove l'Uomouniversalmente considerato non può essere e non è che filosofo.

Nella nostra modesta argomentazione non abbiamo intesoscostarci dal metodo da noi prediletto che abbiamo appreso da SocratedalMaestro cioè che non aspettò di essere in auge nella vita politica di Ateneper avere una Scuola e che ha ancora dei discepolipur non avendo cattedre daoffrir loro: così noiin luogo di partir da proposizioni di profondi pensatoriviventi per girarvi intorno e giunger così all'onore di rappresentareufficialmente la Filosofiaabbiamo preferito partire dalle asserzioni piùmediocri per giungere a delle conclusioni filosofiche; abbiamo cioè preferitogiungere a quelle profonde proposizionirifacendo per conto nostro e conmentalità nostrail processo attraverso cui quei pensatori arrivarono aquelle conclusioni. Cosìbene o malesiamo giunti alla identificazione diFilosofia ed Umanità. Per altre vieper altri porti Giovanni Gentileche è indubbiamente uno dei più forti pensatori contemporaneigiunge allastessa conclusione.

Eglinel VII Congresso Nazionale di Filosofiaa propositodei rapporti tra la Filosofia e lo Statocosì si esprimeva: "si puòdiventare oratorima non si diventa allo stesso modo né poeti né filosofinon perché la poesia e la filosofia siano il privilegio degli eletti e non sisvolgano anch'essi con l'arteossia con lo studioil pensiero e la volontàma perché ogni uomomolto o pocoè poeta e filosofo. E quando si distingue ifilosofi dai non filosofiin realtà quel che si attribuisce ai primi e si negaai secondi è una determinata filosofiaprodotto di una metodica meditazionedei problemi che il pensiero ha storicamente meditati: laddove la tradizionestorica non è che il passaggio graduale dalla non filosofia degli uni (cioèdalla loro filosofia) alla filosofia degli altri: passaggio che è laprogressiva trasformazione di una costante attività dello spirito" epoi "in conclusionefilosofi si è tutticiascuno a modo suo e nellamisura delle sue forze: e c'è una filosofia in nucerudimentalecome c'è unafilosofia spiegata e svolta in sistema; c'è una filosofia intuitiva ed oscuracome c'è una filosofia ragionatadimostrata e logizzantetuttachiarezza" e ciò perché"l'uomo è sì un animale politico; maè prima di tutto un animale filosofo. La sua essenza fondamentale é questa: èfilosofo perché pensa. Giacché pensare significa non esser più animalenénull'altro che sia naturalmentenon appartenere più alla natura ossia aquell'insieme delle cose in cui l'uomo al suo nascere viene a trovarsiedinanzi a cui si ritrova ogni giornoall'inizio di ogni forma della suaattività; distinguersie opporre quindi sé stesso come coscienza di sé chesi oppone alla coscienza d'altro".

 

Dopo aver riportate le parole del Gentileche sono di unastraordinaria chiarezza ed evidenzasenza alcuna parola di commentochecertamente servirebbe a guastare l'effetto destinato a suscitare nell'animo deinostri pochi lettori - ci affrettiamo ad affermare nel modo più esplicito che nonsiamo gentiliani. Non lo siamo per una ragione di indole generalee cioèperché a noi ripugna il vezzo prevalso in tutti i tempi nella storia dellaFilosofiadi far seguire la desinenza iano o ista al nome di unpensatore originale per giustificare la propria mancanza di originalità: ciò -conveniamo - può essere utile a far godere a degli uomini empirici il beneficioimmeritato della cattedra universitariama non giova alla Filosofiae neanchegiova alla comprensione - che è sviluppocioè vitalità - della dottrina chesi dice di voler professare. Non lo siamo nel caso specifico per la pena che innoi ispira il fatto di vedere una dottrina profonda come l'attualismoed un pensatore profondamente originale come il Gentile -destinati l'uno e l'altro ad esercitare una influenza vastissima su tutti icampi dello Scibile - fatti scempio da una turba di mediocri adulatori che hantrasformato in conventicola quella che doveva essere la scuola.

Non siamo dunque gentilianie perciò ci riserbiamoanche in avvenire la libertà di dissentire dall'attualismo comedi convenirne; e questa libertà ci riserbiamo nei riguardi di tutte lescuoleperché non intendiamo - per servir la Filosofia - avere un Maestronelle cui parole giurare; ma riteniamo che Maestri nostri sian tutti quelli dacui abbiamo da apprenderesiano essi autori di opere filosofichesiano essi -e ne abbiamo dato la prova - uomini mediocri o volgari.

E purepare incredibilema per il carattere fondamentaledell'attualismoche oppone l'attività costante del pensiero alladottrina fissa e stabilita una volta per sempresiamo più vicini noi aGiovanni Gentileper il nostro modo di pensaredi quanto non lo siano i suoivoluti discepoli dell'ora del trionfo: sentiamo di esserlo perché noi tuttochiedemmo alle opere del Gentile fuorché delle formule catechistiche daadorarenulla chiedemmo mai all'individuo che pur cercammo conoscere nellaprofondità della dottrina senza curarci della autorità extrafilosofica ches'era acquistatanon avendo mai inteso dare il nostro nome ad alcuna settaadalcuna conventicola per sfruttarne i vantagginon intendendo noi servire che laFilosofia.

 

 

 

ReligioneArteScienza

 

Ci si presentano ora altre tre possibili accuse allaFilosofiale qualipur venendo da uomini di studionon possono elevarsi dallavolgarità per l'unilateralità con cui vengono formulate: a) La Filosofia èatea o almeno irreligiosa perché la Religione non può rinunziare ai suoidogmi che trascendono necessariamente l'attività del pensiero - mentre laFilosofiaessendo attività costante del pensieroripugna dal fermarsi inalcune formule checostituendo il pensatonon possono aver piùvalore filosofico; b) La Filosofia è antiartisticaperché il pensieroper la sua coerenza e concretezzadeve necessariamente imporre alla suaattività un rigore logico che esclude ogni attività fantastica checome talesi esprime nell'irrazionale; c) La Filosofia è antiscientifica perchéla Scienza si propone come fine immediato l'assoggettamento della Naturaall'Uomo pei bisogni di questomentre la Filosofiaper il suo carattere diuniversalitàdeve necessariamente prescindere dalla immediatezza di questofine.

 

è necessario a questo punto ricapitolare le conclusioni cuisiamo giuntinon per fissarle in formule e fermarci su di essema perprocedere oltre nella nostra esposizione. Se noi infatti siamo finora riuscitial nostro assuntoè chiaro: a) che la ragion d'essere della Filosofiatrova la sua spiegazione nella identificazione della Filosofia stessa conl'Umanità e quindi col pensiero; b) che l'Umanità e quindi il Pensieroper il fatto d'essere attività contantesono Storia; c) che ilPensieroper la sua coerenza e concretezzanon può svolgersidisordinatamentecaoticamentema ha un suo rigore logico consistente nel suoordinarsi in sistemicioè nel suo concretizzarsi storicamente; d) chela successione dei sistemi ha un valore logicoma non cronologico - comevorrebbe il Comtemale interpretando il Vico - essendo possibile anzinecessaria la coesistenza nel tempo ed anche nello stesso pensatore di diversiatteggiamenti del pensiero - anzi derivando l'originalità stessa del pensatorenon già dal cristallizzarsi in un atteggiamento (ché in tal caso sarebbe unmediocre) ma dal modo in cui il pensiero accorda questi atteggiamenti diversi.

Ora noi abbiamo presentato come atteggiamenti fondamentalidel pensierocioè come principali sistemi filosoficiquattro momenti storicidell'attività del pensiero stesso: il dogmaticolo scetticoil criticoed il conclusivo o idealistafacendo però le nostre riserve - sucui adesso è necessario insistere - sul significato classificazionista chepotrebbe attribuirsi a questa pretesa distinzione e su queste riserve insistiamosia per l'impossibilità di classificare degli uomini i qualiper il fatto chepensanoclassificano e non possono essere classificatisia perché - ripetiamo- è impossibile la non coesistenza nello stesso pensatore dei quattro momentisu cennati.

 

Tornando ora all'accusa di ateismodi irreligiosità rivoltain tutti i tempi dai fedeli delle Religioni positive a tutti i filosofidaSocrate a Brunoal Gentileessa non ha che il valore di un'opposizione traFilosofia e Religione e pertanto può reggersi solo se e fintantoché siregga questa opposizione.

Maavendo noi provato che la Filosofia si identifica conl'Umanità e col Pensierol'antitesi tra Religione e Filosofia si risolve inun'antitesi fra Religione ed Umanità e Religione e Pensierocioè inun'antitesi assurda in quanto non potrebbe esser posta che dal pensiero inquanto pensa: in tal guisa infatti verrebbero a coesistere nel pensiero inquanto attività la Religione ed il Pensiero - considerati entrambi come pensato- e quindi l'antitesi si risolverebbesia pur negativamentein un superamentodella Religione e della Filosofia da parte del Pensiero. Ciò è quanto dire chel'accusa verrebbe ad essere più... atea della Filosofia stessa.

 

Ma antitesi fra Religione e Filosofia non può esservinonsolo storicamenteperché i più grandi religiosi furonocontemporaneamente i più grandi filosofi e viceversama neanchelogicamente perché la Religione - sia guardata sotto il suo aspetto universaledi sentimento religiososia sotto quello particolare dl religionepositiva - non ha valore se noi la consideriamo indipendentemente dagli uominiche la professanocioè indipendentemente dalla loro attività teoretica epratica; cioè non ha valore se non la consideriamo concretizzata nellaStoriacioè ordinata nelle Religioni positive e la riduciamo informule catechistiche ed in un culto esteriore che non trova rispondenza alcunanel pensiero.

Partendo quindi da una premessa che oppone Religione aFilosofianoi siamo invece arrivati ad identificare l'una e l'altra sul terrenopositivoperché come la Filosofia - considerata come attività del pensiero -è Umanitàè Pensieroè Storia; così la Religioneinterpretata comeattività del pensiero che sente la sua debolezza e si autolimita con lacredenza in un'autorità superioreè Umanitàè Pensieroè Storia. Umanitàperché l'Uomo non possiede il Sapere di cui come abbiam dettovacontinuamente in cerca ed è convinto di questo non possesso (convinzione chevale riconoscimento della propria limitatezzail che non sarebbe possibile- per dirla col Cartesio - senza la presenza nell'uomo e quindi nel pensierodella certezza dell'illimitatocioè di Dio); Pensiero perché fuori delPensiero non può esistere - se pur esiste indipendentemente dal Pensiero - cheil pensatocioè le formule chenel caso della Religioneconsisterebbero nell'esteriorità del culto; Storia perchécomeabbiam dettola Religione si concretizza storicamente nelle Religioni positivesenza di che sarebbe alcunché di astratto e di caoticoperché è impossibileconsiderare la Religione fuori del suo ambiente storico e geografico in cuisorse ed ebbe il suo sviluppo.

Raggiunta quindi l'identificazione sul terreno positivocrediamo opportuno rinunziare al suo raggiungimento sul terreno negativo poichécrediamo di far torto al nostro buon lettoretediandolo colla dimostrazione cheil culto esteriore osservato sia pure scrupolosamenteindipendentementedall'atto del pensiero che lo pensaesula completamente dalla Filosofiamaesula anche e completamente dalla Religioneriducendosi alla famosa morale dipadre Zappata.

 

Oraraggiunta l'identificazione fra Filosofia e Religionesarà bene vedere i termini dell'identificazione stessa: perciò ritorneremo unpo' sui fondamentali atteggiamenti dello spiritofermandoci sui primi due: ildogmatico e lo scettico.

Ripetiamo chese per noi tutto ciò che ci offrono i sensiè veroindipendentemente da ogni nostra considerazione sulla nostra attivitàsensorialesarà vera ogni proposizione ed il suo contrariodata laimperfezione dai nostri sensi e l'unilateralità delle sensazioni (si veda apag. 12 l'esempio del nano e del gigante): cioè sarà vero tanto il vero quantoil falso. Ma qui è implicito lo scetticismo che con Protagora affermerà che l'Uomoè misura di tutte le cose per cui vi sono tante verità quanti individuianzi vi sono tante verità quante sono le sensazioni di ogni individuo.Viceversa dallo scetticismo noi siamo subito ricondotti al dogmatismoperchéuna volta ammessa la relatività della conoscenzanoi cadiamo in unaconcezione assolutistica della relatività (pag. 18): per cui nulla ci vieta diinvertire i termini e di definire scettici TaleteAnassimandroedAnassimenedogmatici Protagora o Gorgia.

Da tutto ciò si vede che il pensiero ha bisogno di crederee di dubitare: di credere perché è impossibile che ogni uomoempirico faccia da capo tutta l'esperienza che è tutta la Storiadi dubitareperché lo stesso continuo svolgimento storico del pensiero ci avverte che ilpensiero ha infinite tappe da percorrerema non ha alcuna meta prestabilita daraggiungere e tende a superare sempre se stesso; ma è anche evidente che nel credereè implicito il dubitate come nel dubitare è implicito il credere- e ciò anche prima che lo avessero detto S. Agostino e Cartesio.

Ora questi due momenti storici dell'attività del pensieroli ritroviamo alla base di ogni religione positiva per il fatto che ogniReligione ha come moventesotto l'aspetto negativoil dubbio in quantopresuppone l'autoriconoscimento da parte del pensiero della propria limitatezzae la credenza nell'esistenza dell'illimitato; ma dubbio e credenzacioè momento scettico e momento dogmatico sono intimamente legatifra loro al punto da costituire un momento unico perché il pensiero nonpotrebbe aver la certezza del proprio limite se non fosse in esso immanentel'idea dell'illimitatocioèin parole poverenon avrebbe ragione di dubitaredelle proprie forze senza avere un criterio di certezza che giustificasseil suo dubbio. Parimenti questa certezza dell'esistenza di alcunchéd'illimitato chepur trascendendo il pensieroè in esso immanente nonavrebbe ragion d'essere senza che il pensiero avesse motivo di dubitaredelle proprie forze.

 

Mase ogni Religione ha il suo momento dogmatico edil suo momento scetticoessa non può confondersi con uno o più diquelli che sono i suoi momenti storici essenzialiproprio come la Filosofia nonpuò confondersi coi sistemi Filosofici (si veda a pag. 19): pertanto i dogminon possono costituire l'essenza della Religionecome le formule filosofichenon costituiscono l'essenza della Filosofia. Sono piuttosto gli uni e le altredelle tappe che il pensiero deve percorrerema ove non può arrestarsi.

Ché infatticome dicemmoè impossibile valutare le formulefilosofiche indipendentemente dal processo del pensiero di cui esse sono ilprodotto: o esse si ripensano ed allora tornano ad essere pensiero che pensaoppure si considerano come dei punti fissi che il pensiero non può superare edallora diventano pensato che non è più pensiero. Lo stesso dicasi del dogma:o esso lo si accetta con convinzionecioè in seguito ad un processo delpensieroed allora esso non è più qualche cosa di estraneo e di superiore alpensiero stesso - oppure lo si accetta come punto fisso insuperabile dalpensieroed allora l'accettazione è una pura finzione che nasconde quella talepaura d'indole empirica di... andar contro correntenon accettandolo.

Ciò perché le formule filosofiche i filosofi non letrovarono belle e fattema vi pervennero pensandoed esse sono spessodelle proposizionigrammaticalmente parlandole più ingenue che i pseudo-filosofitrasformarono in formule. Così i dogmi non possono essere estraneiall'attività del pensiero religioso che li ha creati esclusivamente per potersisvolgere storicamente: nel caso contrario la Religione non potrebbe storicamentesvolgersiavendo i passi sbarrati da ciò che doveva invece facilitarglieli.

Riconoscere dunque la fissitàl'eternità del dogmaritenerlo cioè insuperabile da parte del pensiero è come porlo fuoridell'attività del pensierocioè come esterioritàè - in altritermini - trasformare la Religione in un esteriore cui più non corrispondel'assenso da parte del pensierocioè in un culto storicamente superato.

La Storia infatti ci dimostra come il Paganesimo fossevirtualmente finito - assai prima dell'avvento del Cristianesimo - allorché ilConsole Claudio Pulcrolanciò nel mare i polli sacri che non volevano mangiare(indizio evidente della sciagura militare) esclamando: "Che bevanoallora!". Infatti ciò prova come la Religione Paganafin da quel temposi fosse risolta in un culto esteriore che tutti rispettavano per non urtare lasuscettibilità di chi fingeva di credervima al quale nessuno prestava piùfede.

Cosicchéin conclusionecome non basta la ripetizionemeccanica di alcune formule filosofiche - prodotto dell'altrui pensierocioè pensato- per essere filosofi o seguaci di un pensatorecosì non basta l'accettazionepuramente verbale dei dogmi - senza l'atto di assenso da parte del pensiero -né la pratica più scrupolosa del culto religioso con l'osservanza piùrigorosa di preghiereriti ed esorcismiquando ciò non risponda ad un attodel pensieroper essere seguaci di una religione positiva od anchesemplicemente religiosiché anzi il più delle volte avviene il contrarioequanto più ci si attacca alla letteracioè al dogma di una Religionepositivatanto più si è lontani dallo spirito.

 

Avendo identificato la Religione con la Filosofiaessadunque non può essere identificata da noi col dogma: la Religionecomela Filosofiaè Storia; il dogma è semplicemente un momento storico diuna determinata Religione.

E ciò perché la Religione ècome dicemmol'attocon cui il pensiero limita se stesso in rapporto all'illimitato che èal tempostessotrascendente ed immanente al pensiero - mentre i dogmi sono iprodotti storicicioè momentaneidi questo atto limitativo.

Ora la Religioneessendo Storiaè eterna perché ilpensiero tende sempre a superare se stessosempre si realizza e mai èrealizzato: il pensiero dunque allargherà sempre i suoi limitima nonraggiungerà mai l'illimitatoché in questo caso sarebbe periodo storicoche può cominciare e finirenon Storia che non ha né principio né fine.

I dogmianche quelli cristianisono invece prodottistoricicioè momentaneidell'attività del pensiero che hanno - come tali -valore per un determinato tempo: sono dati storici della Religione. Allaformulazione dei dogmi non si pervenne - ce lo insegna la Storia - chedopo discussioni tutt'altro che serene nello stesso seno della Chiesadoponumerosi Concili in cui invano si tentò un accordodopo lotte fra Ariani edAtanasianiManichei cristianizzati e Pelagianidopo scomuniche e ritrattazionifino all'accettazione del quid medium tomista da parte Chiesa. Ora tuttociò prova che essi non son nulla di estraneo e di superiore all'attività delpensieroma sono l'attività stessa del pensiero dei Padri della Chiesache diviene poi il pensato del tomistica e della neo-tomistica eneo-scolastica moderna.

 

Se però nella Religione noi non trovassimo che i due solimomenti dogmatico e scetticonon potremmo parlare ancora diidentificazione con la Filosofia: ma in realtà il fatto che la Religione non ènulla di diverso dal Pensiero e che il Pensiero è critico nel senso che tendecontinuamente a superare le contraddizioni del pensato (pag. 11) -c'induce a credere che anche nella Religione noi possiamo trovare e troveremo ilmomento critico.

Noi infatti abbiamo detto che la Religione è Storia. Oracome si potrebbe giustificare la storicità della Religione se non con la sua criticitào autocriticità? Non solo la prassima neanche la dottrina religiosa èalcunché di fisso e stabilito una volta per semprecioè per tutti i tempi eper tutti i popoli; e la necessità dell'organizzazione giuridica delle varieChiese prova che - se apparentemente nulla può essere così contrario allaReligione come la critica - in realtà la vitalità della Religione è proprionel suo potere autocritico che la rende attuale nel tempo e nello spazio. Ciòperché - ripetiamo - il Pensiero non può rinunziare alla critica senzarinunziare a se stesso eidentificandosi la Religione col Pensieroo essaaccetta la critica o si pone fuori del Pensierodiventando esteriorità. Cosìallorché il Paganesimo rinunziò al momento critico - la critica si svolseall'infuori di esso con la Filosofia di Socratedi Platonedi Aristotele chese non è ancora Cristianesimonon ha più i caratteri del Paganesimocioè ilpoliteismo e l'antropomorfismo; così allorché il Cristianesimoattaccandosi al pensato di Aristotele e della tomisticatenteràopporsi alla critica - questa si porrà contro il Cristianesimonella sua formacattolicacon Bruno e Telesio in Italia e con la Riforma in Germania.

Del resto il dogma considerato come prodotto storicodell'attività del pensiero è la migliore prova della presenza del momento criticoe di quello conclusivo o idealistico nella Religione: poiché al dogmasi perviene appunto attraverso il processo critico del pensiero che èevoluzione della coscienza religiosa dell'Umanità ed esso non può aver valorese non é accettato da questa coscienza stessa che è pensierocioè storia equindi critica.

Ma in quanto il dogma conclude il processo storicoesso è ideaprima di essere dogma: cioè la coscienza religiosadell'Umanitàprima di tornare al momento dogmatico da cui era partitadeve necessariamente attraversare il momento idealista.

Se dunque il processo religioso dell'Umanità segue il suostesso processo filosoficocade la prima accusa alla Filosofia relativa al suopreteso ateismoalla sua pretesa irreligiosità.

 

Mapur non reggendo al lume della logical'accusa di irreligiositàalla Filosofiafondata naturalmente sulla pretesa antitesi tra Filosofia eReligionel'accusa esiste e lo prova una lunga serie di elementi che va dallacondanna di Socrate per empietàattraverso l'ostilità verso laFilosofia apertamente manifestata dai primi Padri della Chiesa latinaallescomuniche di quelli che non la pensarono alla maniera ortodossaal rogo diBruno e di Hussalle accuse di ateismo o simili che tuttavia si lancianoagli nomini di pensierocioè al pensiero in quanto avrebbe il torto di....pensare. Ed è evidente chese l'accusa esistedeve esservi la ragiono che lagiustifichiragione che se non èné può essere nella Filosofia e nellaReligioneper quel che abbiamo provatosarà certo nella posizione mentale deicosiddetti filosofi e dei cosiddetti religiosi in quanto uomini-empiricicioèindividui che nulla vedono e nulla vogliono vedere fuorché le proprie formulefilosofiche o i dogmi ed i riti propri della credenza che dicono di seguire.

Dicevamo infatti a pag. 19 cheessendo in ogni sistema unresiduo di dogmatismoessi(gli astri di seconda grandezza del Cielofilosofico) incapaci di creare a di sviluppare quelle che sono le partivitali del sistematrovano assai più facile e più comodo fermarsi su questiresiduicioè sulle formulee dogmatizzare tutta la dottrina di un pensatoreoriginale.

Oranel campo religiosonon avviene diversamentepoichéad un certo punto dell'evoluzione storica di una determinata Religione positiva- e sarebbe precisamente il punto in cui questa Religione positivaavendoespletata la sua funzione storicasi rivela incapace di ulteriore sviluppo equindi di vitalità - i suoi sostenitori non hanno altro da fare che segnare ilpasso e prepararsi a dar l'alt.

Oraquando si tien conto di ciò che del resto èimplicitamente o esplicitamente ammesso da tutte le Storie delle Filosofie edelle Religioniè più che ovvio che accordo in questo senso traFilosofia e Religione non può esservi se non a patto che le formulofilosofiche ed i dogmi teologici coincidano perfettamente; ma ciò èassolutamente impossibile non solo perché le une e gli altri sono prodottistoricie Storia significa svilupposignifica dinamica e quindinulla può concretizzarsi nella Storiaimmobilizzandosima anche e soprattuttoperché - una volta provato il carattere storico delle formule e dei dogmi- bisognerebbe ammettere un moto isocrono del pensiero perché si avesse unaperfetta coincidenza: di guisa che il cercar la conciliazione su questo terrenotra Filosofia o Religione è qualcosa che può far comodo a qualche filosofomilitante che vuole sfruttare i vantaggi della conventicola senza andar controla corrente religiosaa qualche cosiddetto religioso che non intende rinunziareai... benefici della propria fede senza pregiudicarsi la possibilità dellacattedra - ma che non può trovare attuazione se non nel sacrificio dellaReligione alla Filosofia come nei cosiddetti Gentiliani o nel sacrificio dellaFilosofia alla Religione come nella Scolastica e nella Tomistica con le relativesfumature. La conciliazione reale si può raggiungere soltantosecondo ilnostro processonella identificazione di Filosofia e Religioneattraverso unrisalire al principio fondamentale della dottrina filosofica o religiosa di unMaestro: macome abbiam vistofilosofi militanti e religiosi militanti nonpossono riconoscere alle loro dottrine rispettive quel carattere dinamicoe genetico che le fa Storia perchéattraverso un processo siffattofinirebbero col trovarvi la negazione e la condanna non solo della prassima perfino della loro dottrina.

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Procediamo oltre: "la Filosofia è antiartisticaperché il pensieroper la sua coerenza e concretezzadeve necessariamenteimporre alla sua attività un rigore logico che esclude ogni attivitàfantastica checome talesi esprime nell'irrazionale".

In questo momento di aspre polemiche nei riguardi dell'Artesarebbe assai comodo per noie non ci sarebbe forse difficiletoccare il Cielocon le manitenendo nelle medesime uno dei due.... Vangeli checome ognuno chesi diletti di Filosofia sasono "l'Estetica" del Croce o la"Filosofia dell'Arte" del Gentile: preferiamo invece mantenerci sulnostro livello terreno e non terremo conto di nessuna delle teorie esteticheoggi più o meno di moda.

Ora l'incompatibilità tra la Filosofia e l'Arte avrebbela sua ragion d'essere nella coerenza e nella concretezza del pensieronelrigore logico cioè che il pensiero impone alla sua attivitàcioè inaltri termini la incompatibilità tra la Filosofia e l'Arte sirisolverebbe in un'antitesi tra pensiero e fantasia.

Senza staccarci dal nostro metodo di dimostrazione perassurdodiremo che una tale antitesi presuppone il fatto che la fantasiasia qualche cosa di estraneoanzi di diverso e di oppostoal pensiero; ma questo carattere dl estraneitàdi diversitàdi opposizione non lo si può notare che pensandoper cui -essendo questo carattere stesso immanente al pensiero - non possono poiessere rispetto ad esso trascendenti i termini della estraneitàdella diversitàdell'opposizionecioè il pensiero e la fantasia. Edallora noi avemmo nel Pensiero immanenti il pensiero e la fantasiacome termini incompatibili tra lorocioè avremmo un assurdo in quantoil primo pensiero (quello che abbiamo scritto con l'iniziale maiuscola)non è più un'antitesi colla fantasiamentre il secondo non soloè in antitesi con la fantasiama è diverso anche dal primo pensierocioè è pensato. Sicché l'antitesi tra fantasia e pensierosi risolve in antitesi tra prodotto dell'attività fantastica e pensato.

 

Passeremo ora alla parte positivaalla identificazione cioèdella Filosofia con l'Arte; difatti è ovvio chese la fantasia non è nulla diestraneodi diversodi opposto al pensieroessanon può essere altro che "pensiero".

Ma all'espressione "la fantasia è pensiero" noinon intendiamo attribuire il significato volgare secondo cui fantasia e pensierosarebbero la stessa cosa perché in questo caso l'"espressione"diverrebbe definizionecioè formulae perderebbe quindi ognivalore filosoficoe quindi l'Arte ­costretta ad ubbidire alla logica rigorosadel Pensiero - non sarebbe più Artené la Filosofiavagando nel campodell'irrazionale come prodotto dell'attività fantasticasarebbe più Filosofiaperché il Pensiero perderebbe la sua concretezza e la sua coerenza.

Per raggiungere l'identificazione tra Filosofia ed Artesarà necessario precisare il valore dell'identificazioneper cui dobbiamotornare ai quattro momenti storici essenziali dell'attività del pensierononperò senza insistere sul fatto che a questa distinzione non si può dare alcunsignificato cronologico cioè empiriconé alcun significato classificazionistaperché - come abbiamo dimostrato ­la successione dei vari momentidell'attività del pensiero ha un valore logicodata la necessità della lorocoesistenza nel tempo e nello spazio.

 

Sarebbe per noi indubbiamente più comodoutilizzando ainostri fini gli studi più recenti del Croce e del Gentilepartire dal concettodell'Arte come imitazione degli antichi opponendolo a quello dell'Artecome creazione dei modernima ciò renderebbe più difficilel'intelligenza della trattazione perché ci costringerebbe ad una lunga serie dicitazioni. Seguiremo perciò la nostra via.

è dunque fuor di dubbio che i due primi moventi dell'Artesiano l'entusiasmo ed il dolore in quanto senza entusiasmo e senzadolore avremmo l'indifferenza e quindi l'opera d'arte verrebbe a mancare. Ora l'entusiasmonon e che il momento dogmatico dell'attività fantastica in quantol'artista ènello entusiasmo stessopervaso dalla sua rappresentazione cheper lui non può che essere realtà obbiettivaesteriore: certamente lacriticao meglio la pseudo-criticaspecialmente quella filologicatroveràche la realtà obbiettiva (sic!) è diversa dalla rappresentazione dell'artistail quale ha completamente trasformato quella realtàmagnificando il valore dialcuni particolarisminuendo l'importanza di altrisopprimendoaggiungendo -ma questa criticaanche se fu per lungo tempo ed è ancora padrona dellecattedre di Letteratura Italiananon può che tradire ogni concezionedell'Artesottomettendo questa ai propri schemi mentalipeggioalla propriamentalità. Perché il reale non è la pretesa realtà obbiettivache l'artista si rappresentama è lo stato d'animo dell'artistaèinaltri terminil'attività fantastica; e l'obiettività dellarappresentazione non dove essere intesa nel senso di un'adaequatio dellarappresentazione stessa all'oggetto rappresentato ma una rispondenza di essaallo stato di animo. L'opera d'Arte è in altri termini reale in quantoè il prodotto di uno stato d'animo reale; è obbiettiva in quantoquesto stato d'animo viene esteriorizzato sulla pagina scrittasulla telasulmarmonelle note musicali.

V'ha dunque un momento storico dogmatico nell'Arte cheè costituito dall'entusiasmoe che risponde perfettamentenell'attodel pensieroal momento dogmatico della Filosofia in quanto anche in questocampocome abbiam vistol'adaequatio intellectus et rei è solamenteapparente e non reale.

 

Così diciamo del dolore che rappresenta il momento scetticonell'Arte in quanto nel dolore è la sintesi della irraggiungibilità diuna meta: orabenché il dolore nell'Arte soglia esteriorizzarsi nel lirismoin realtà la sua vera esteriorizzazione avviene nella satira che è larappresentazione della insoddisfazione dello spirito dell'artista. Giustamenteoggiper es.in mezzo alle panzane che la critica ha detto intorno alLeopardicondannandolo all'incomprensione anche dopo mortovi è qualchecritico serio che parla di ironia leopardiana in quanto lo scetticismoartistico non può esprimersi che nell'ironia dissolvente enegatrice.

Mase noi guardiamo a fondo questi due momenti storicidell'attività fantasticail dogmaticocaratterizzato dall'entusiasmoed espresso soprattutto (ma non unicamente) dall'epicae quello scetticocaratterizzato dal dolore ed espresso soprattutto (ma non unicamente)dalla satiranon possiamo fare a meno di riconoscere che i due momentisi integrano e che non possiamo avere entusiasmo senza doloredolore senza entusiasmonon possiamo avere epica che nonsia satirasatira che non sia epica (ed è appuntociò che c'induce a negare il valore classificazionista alla distinzione deigeneri letterari). Infatti entusiasmo e dolore non sono terminiantiteticianzi essi hanno come elemento in comune l'opposizione della indifferenzain quanto l'entusiasmo comprende e giustifica il dolore per ilfatto che esso ha luogo solo in quanto alcune condizioni immanenti all'attivitàfantastica dell'artista ai sono verificatema presuppone necessariamente chequeste condizioni potevano non verificarsi e chenon verificandosiavrebberodato luogo al dolore; così il dolore ha luogo in quanto non sisono realizzate alcune circostanze di cui l'artista è fervidamente entusiasta.

Per spiegarci con un es.: in Danteil poeta della fede edell'entusiasmonoi non possiamo non notare il dolore che si esprime nelle sueinvettive contro Pisa ed anche contro l'Italia - ­e ciò perché eglifortemente amandodoveva fortemente odiare allorché l'oggetto del suo amore sene rivelavaalmeno momentaneamenteindegno; e così il Leopardi piange suidestini della Patria o dell'Umanità in quanto ha presente una Patria edun'Umanità diverse da quel che vede e delle quali non può non essereentusiasta.

L'epica è dunque satira nel senso chemagnificando l'Ideale della propria attività fantasticaimpiccolisce in unmeraviglioso contrasto tutto ciò che all'Ideale si oppone: e così pone difronte Agamennonere dei prodied il vile e comico Tersite; Menelao e Parideche sfugge alla sua vista; Ulisse l'eroe della volontà umanae Polifemo chenella sua brutale potenza è incapace di stritolare l'ingegno umanoe cosìvia.

 

Dunque l'Arte nasce appunto in questo contrasto tra l'entusiasmoed il doloree l'opera d'Arte non si può concepire se non come prodottodi questi due elementi cheapparendo oppostisi integrano invece; ma il contrastonell'Arte si esprime nella drammaticità. L'elemento drammaticonell'Arte è il momento critico nella Filosofiaperchécomel'attività critica del pensiero ha luogo allorché si tratta di superarel'antitesi tra dubbio e certezza e la supera affermandocome abbiam vistochela certezza è il dubbio di ciò che non èmentre il dubbio è la certezzadello stesso "ciò che non è" - parimenti il dramma ha luogonell'attività fantastica allorché essa si trova davanti alla Antitesi dell'entusiasmoe del dolore e cerca questa antitesi di superare in una superioresintesiin una superiore armonia.

Nell'Arte grecaper esempiosarà il contrasto fra lavolontà umana ed il fatoin cui la prima rimane soccombentema questocontrasto si risolve nel dolore dell'artista per l'impotenza della umanavolontà e nell'entusiasmo del medesimo per l'onnipotenza del fato cuituttianche Gioveallorché pesa nella bilancia i destini di Ettore ed'Achilledebbono inchinarsi. Lo vediamo nella tragedia sofoclea in cui nonpuò non suscitare dolore il crudele destino che incombe su Edipo e sututta la sua discendenzamentre anche noi - che non crediamo alla trascendenzadel destino - siamo presi da entusiasmo per questo fato che sicompie pur contro la lotta spietata degli uomini.

Ed è infineattraverso la drammaticitàche siarriva ad affermare una idea che è quella cui l'artista tende e cuiispira tutta la sua opera: e siamo al momento conclusivoidealista.

 

Ma ben guardiamoli insieme questi momenti storici dell'attivitàfantastica se sono qualche cosa di diverso e di distintotali cioè dapoter giustificare la distinzione dei vari generi letterari: abbiamodetto che l'entusiasmo ed il dolorel'epica e la satiranon possono considerarsi come due momenti distinti nello spazio e nel tempoinquanto debbono necessariamente coesistere nello stesso artista purché sia unvero artista. E ciò perché entusiasmo e dolore sono itermini estremi della commozioneed è necessario che questa commozionel'artista la senta tuttacioè che essa sia immanente nell'artista; maappuntoper questa immanenza nell'artista della commozionecioè per l'immanenzadell'entusiasmo e del doloreè anche immanente il contrasto fra questi duetermini estremicioè il dramma che deve necessariamente avere una suasoluzioneuna conclusione nell'affermazione di un'idea.

 

Resta dunque la questione dell'irrazionale artisticoche si opporrebbe al razionale filosofico; maprima di affrontar questoproblemaè necessario esaminare il valore dei termini razionale ed irrazionale.

Abbiamo infatti ammesso che il pensiero deve imporre unrigore logico alla propria attività per la propria coerenza e concretezza eciò implica necessariamente la razionalità del pensiero; ma questa razionalitànon deve intendersi nel senso tradizionalecioè aristotelico della parolanelsenso cioè che da alcune verità già date - siano esse leggi o fattiuniversali o particolari - si debbano ricavare con i procedimenti classici delladeduzione e dell'induzione dei fatti e delle leggi che poi sarebbero implicitenelle premesse stesse da cui siamo partiti: in tal guisa il pensiero sarebbecondannato ad un circolo viziosocome lo fu dalle opposte e pur identichescuole dello empirismo e del razionalismofinché Emmanuele Kantnon ruppe quel circolo con la sua sintesi a priori di pensiero edesperienza.

La razionalità del pensiero non consiste nel tracciare lalinea che il pensiero deve percorrere perché questa linea non può segnarla senon lo stesso pensiero - consiste invece nella coerenza e nella concretezza concui il pensiero si sviluppasi svolge storicamente: ché se noi abbiamo ammessoquesto svolgimento storico del pensieroil quale si arricchisce continuamentedi elementi che prima eran fuori di esso - cioè trascendenti - è ovvioammettere che delle volte al pensiero la realtà che è - come abbiam vistotrascendente ed Immanente al tempo stesso - si rivela per altre vie che nonsiano la pura ragioneil sentimento cioè e l'intuizione. Eccoperché noi non dividiamo l'avversità dei filosofi militanti italiani contro ladottrina del Bergson chepur presentando i caratteri dell'unilateralità comedel resto anche l'attualismo ed il neo-tomismoha il merito dellasua grande originalità e soprattutto quello di aver detto in questo momento di mimetismo-filosoficodelle verità nuove di cui la Storia della Filosofia non potrà non tener conto.

L'intuizione non può infatti spiegarsi come l'attualismola spiegae cioè come un momento culminante dell'attività logica del pensiero- in quantose così dovesse spiegarsie se il pensiero non avesse altra viada percorrere che quella della sua logicitàla libertà del pensiero che è ilcavallo di battaglia degli attualistise non del Gentileverrebbe negata dallasua razionalità. Infattiuna volta ammesso che la razionalità debba spiegarsimatematicamentecioè tale chedati alcuni elementi se ne debbano ricavarenecessariamente degli altrié ovvio che il pensiero non avrebbe alcunapossibilità di pensareed inoltreil pensiero essendo storiasi dovrebbein base a questa pretesa razionalitàprevedere lo svolgimentoavvenire del pensiero od anticipare la storia sino al suo termine. Ed allora la razionalitàdel pensiero consiste nel continuo superamentoda parte del pensierodell'antitesi tra razionalità ed irrazionalitàfra Filosofia edArte.

Né d'altro canto l'Arte è la manifestazionedell'irrazionalema piuttosto la razionalizzazione dell'irrazionale in quantoripetiamol'opera d'Arte non deve essere valutata e giudicata reale inbase all'adaequatio intellectus et reima solo in base alla rispondenzadell'opera stessa con l'attività fantastica dell'artista chenel suoentusiasmonel suo dolorenell'intimo suo contrasto dell'entusiasmo e deldoloreha creato un mondo diverso da quello esternoe quindi si è scostatodalla razionalità; ma che è sempre nella razionalità perchéquell'entusiasmoquel dolorequell'intimo contrasto hanno la loro logicaspiegazione nel suo stato d'animo.

In questo modo crediamo di esser giunti all'identificazionedi Filosofia ed Arte.

 

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Indubbiamente le maggiorile più asprele piùapparentemente fondate - benché le più ingiuste - critiche alla Filosofiavengono dai cosiddetti scienziati e dai cosiddetti cultori di Scienze (e teniamoa dire che il termine cosiddetti non è da noi usato casualmenteperché la tradizione storica da Talete allo Spencer prova che non si può esservero scienziato se non a patto di essere filosofo).

Ora lo straordinario numero o l'asprezza delle critiche cheprovengono da questo campolungi dal rendere più arduo il nostro compitolofacilitano o lo semplificano.

Infattiper parlare di un carattere antiscientificodella Filosofiason necessarie due cosee cioè porre prima di tuttoun'antitesi fra Filosofia e Scienza e stabilirenel modo scientificamente piùprecisoil valore di quest'antitesi. Ora porre empiricamente un'antitesi èla cosa più facile di questo mondonon incontrandosi mai alcuna difficoltà atrovare degli elementi che rendono incompatibile la coesistenza di due opiù cose; ma stabilire scientificamente il valore di questa incompatibilitàil che vale trovarne il fondamento scientificoè tutta altra cosa.

Opporre dunque la Filosofia e la Scienza è trovare glielementi che le distinguono: quali sono questi elementi? - La coerenzadella Scienza opposta alla contraddittorietà della Filosofia? - Ma diquesto argomento ci eravamo sbarazzati nei primi due capitoliprovando con unaspecie di chiamata di correo cheposta la questione sul terreno dellamera empiricitàla Scienza é contraddittoria quanto la Filosofiae non può- sotto questo aspetto - essere Scienza senza essere contraddittoria; mentreposta la stessa questione sul terreno veramente scientificola Filosofia èrigidamenterigorosamente coerente quanto la Scienzase non più coerentedella Scienza - in quanto la coerenza della Scienza non può consistere e nonconsiste nella pretesa immutabilità delle sue leggi fisse e stabilite una voltaper semprema nell'accordo di queste leggi con le leggi del pensiero che siesprimono nell'esperienza.

La concretezza della Scienza opposta all'astrattezzadella Filosofia? Ma anche di questo argomento ci eravamo sbarazzati negli stessidue capitoli perché mentre sul terreno dell'empiricità su cuievidentemente si eran posti i nostri ipotetici contraddittori l'astrattezzaè risultata il carattere precipuo della Scienza che non può organizzarsicioè risalire dai fatti alle leggi senza astrarre alcune particolaritàforsenecessariedai fatti stessi - sul terreno scientifico invece la Filosofia si èrivelata concreta per eccellenza appunto per il suo carattere di universalitàche comprende tutti i particolari concreti.

Ed allora si potrebbe aggiungere un altro elemento: l'utilitàdella Scienza e la inutilità della Filosofia che sarebbe da definire quellaScienza per la qualecon la quale e senza la quale si resta sempre tale e quale.Ma anzitutto di questa asserzione che è volgarissima tra le volgari potremmosbarazzarci anche subitorinviando i lettori al nostro quarto capitolo in cuiabbiamo provato che alla Filosofia non si può rinunziare se non a patto dirinunziare alla propria umanitàcioèin termini volgariad esser uominipoi - se valesse la pena discuterne - potremmo molto facilmente obbiettare cheil criterio dell'utilità non può esser valutato che dal pensiero inquanto attivitàcioè in quanto si concretizza storicamente ­-dato che l'utile varia secondo il tempo il luogo e le circostanzepercui ciò che in determinate condizioni è utile in altre si rileva inutilequando non addirittura dannoso. Eposta così la questionel'antitesi sirisolverebbe a vantaggio della Filosofia e contro la Scienza - allorché siaffermasseper es.che la scoperta della dinamite da parte di Nobel è utilecome prodotto dell'attività del pensieroche mira a superare gli ostacoli chesi frappongono all'attività pratica dell'uomocioè é utile come Filosofiama è dannosa come Scienza in quanto agli uomini é servita comestrumento di distruzione; oppure che la conquista dell'aria da parte dell'Uomomentre prova l'attività costante del pensieroche non conosce ostacoli allapropria espansioneprova d'altro canto che la Scienza è l'elemento piùpericoloso ai danni dell'Umanità.

 

Ma noi possiamo anche far generosamente grazia ai nostriipotetici contraddittori di simili argomentazioni di natura empiricai quali sirassomigliano ai dilemmi della filosofia aristotelica che si potevano semprerovesciare e conducevano al risultato sofistico di provar vera una tesi e la suaantitesi; e veniamo ad un'argomentazione più seria:

Ammesso l'impossibile di una incompatibilitàanzi diun'antitesi fra Filosofia o Scienza - basata sopra uno dei criteri di cuici siano già sbarazzati o sopra un altro qualsiasi criterio - ­possono darsidue casie cioè che l'antitesi sia considerata come presupposta al pensierooppure che essa sia considerata come attività del pensiero che la produce.Nel secondo caso l'antitesi distruggerebbe se stessa come quella fraFilosofia e Religione e tra Filosofia ed Arteperché essarisolvendosi nelpensieronon sarebbe nulla di diverso dal pensiero; nel primo caso essanonessendo postama presupposta dal pensieroarriverebbe ad unaconclusione che certo non poteva essere nelle intenzioni degli assertoriecioè all'affermazione di un dogmatismo scientifico opposto ad un criticismofilosofico.

 

Or dunque è evidente che la Scienzanon solo non èincompatibile col Pensierocioè con la Filosofiama è Pensiero ed èFilosofia - come risulta dalla nostra dimostrazione per assurdo; ma conciò non può negarsi che la medesima prova possa raggiungersi partendo da puntidiversi e seguendo altre vie. Facciamo anche grazia ai nostri buoni lettoridella prova cosiddetta storica da cui risulterebbe chenel corso dei secoliScienziati non vi furono che non fossero Filosofi ad un tempocome non vifurono Filosofi che non furono anche Scienziati - perché non v'ha scoperta odinvenzione che non presupponga un atto del pensiero che scopra od inventie d'altro canto non operi a sua volta un rivolgimento nel campo dell'attivitàpura del pensiero. Ma non intendiamo rinunziare alla prova logica della identitàtra Filosofia e Scienzae diremo che questa identità si trova nelcarattere storicocioè nella storicità del Pensiero che è Filosofiain quanto è Scienza ed è Scienza in quanto è Filosofia.

Per giungere però alla identificazione è necessarioprecisare la posizione ed il valore della Scienzae cioèin parole poverestabilire se la Scienza è quel complesso più o meno vasto di nozionipiùo meno razionalmente organizzate più o meno bene esposto in un libro di testoosia purein un trattato scientificooppure se essa non sia piuttosto l'attivitàdel pensiero umano che mira a superare continuamente le difficoltà che purcontinuamente si oppongono all'esplicazione di quell'attività medesima. Inaltri termini il problema consiste nell'assodare se la Scienza debba essereconsiderata come insieme organico di nozioni oppure come Storia;dal che deriva chenel primo casola coerenza della Scienza consistenella coerenza delle nozioni con se stesse e la concretezza nella concretezzadei suoi oggetti di studio; nel secondo casoripetiamola coerenzaconsiste invece nell'accordo fra le leggi enunciate dalla Scienza el'esperienza attuale dell'Umanità come attività costante del pensiero e laconcretezza nella concretezza di questa esperienza chenello sforzo per ilsuperamento delle contraddizioni fra i prodotti dell'attività scientificatradotti in nozioni e la realtà che è Storiaconcretizzaarmonizzandola conla Vitala Scienza stessa.

Non v'ha dubbio che il problema debba esser risolto nelsecondo senso perchéammettendo anche coi nostri ipotetici contraddittori chela ragion d'essere di una determinata cosa debba fondarsi su di un criteriodi utilitànon crediamo utile né dal punto di vista teoreticoné da quello pratico che il principio d'Archimede sia per es.coerentecon quello d'Avogadro o di Lavoisierse esso non è per nulla coerente conl'esperienza attuale che può averlo superato.

 

Ammessa la storicità della Scienzaci resta davedere se essa sia diversa da quella della Filosofia oppure se sia la stessastoricità della Filosofia perché in funzione di essa.

 

La Scienza intantoessendo Storianon può più riguardarsicome un prodotto dell'esperienzaché altrimenti sarebbe nozionemacome l'esperienza stessa che è costantea perciò attività; maintendiamoci bene su questo puntol'esperienza non è né può essere laNatura - materialmente e quindi dogmaticamente intesa - che si rivela da séal pensiero umano che come tale sarebbe qualche cosa di passivo e di inerte.Questose potesse esser dimostratosarebbe un fondamento validissimo perstabilirvise non l'antitesialmeno una distinzione tra la Filosofia e laScienza in quanto la prima reputerebbe attivo il Pensiero e passiva la Naturasu cui si esplica l'attività del pensieromentre la scienza sarebbe fondatasul principio opposto; ma in realtà presenta delle difficoltà gravissimeecioè il dover supporre che il pensiero subisca passivamente la rivelazionedella Naturamentre questa supposizione dovrebbe poi farla il pensieropensandocioè essendo attivoed il dover supporre - per il fatto che laNatura si rivela al pensiero gradualmente (diversamente la Scienza nonpotrebbe essere Storia) e con una rigorosissima logicità - che essa siadotata di un pensiero che questa rigorosa logicità possa conferirlema inquesto caso - che d'altronde ricorda uno stadio superato dalla Filosofia - noiavremmo che la vera attività non appartiene alla Naturama al Pensiero chesarebbe in essa immanentein quanto sarebbe proprio il Pensiero immanente nellaNatura che le permetterebbe di rivelarsi. Ed allora se l'esperienza nonè la Naturamaterialmente e dogmaticamente consideratae quindi non ènemmeno lo strumento con cui si esperimenta perché esso ècome dice la stessaparola strumento dell'esperienza e non esperienzaè ovvio chequesta esperienza non è altro che l'Uomo che esperimenta cioè ilPensiero in quanto attività. Resta quindi provato che la storicità dellaScienza è in funzione della storicità del Pensierocioè della Filosofia..

 

Ma se la storicità della Scienza è la stessa storicitàdella Filosofianoi non possiamo non trovar nella Scienza gli stessi quattromomenti fondamentali dell'attività del pensierosolo che insisteremopochissimo per non ripetere quanto dicemmo nel nostro capitolo su "LaFilosofiai Filosofi ed i Sistemi Filosofici". Ora lo Scienziato non può- benché empiricamente parrebbe il contrario - non essere dogmaticoallorché accetta i dati dell'esperienza elaborati dagli altriallorchéponendosi davanti alla Natura che egli vede sotto un solo aspetto e cioèunilateralmente secondo la propria branca scientificadimentica quasi il suo iocome soggetto dell'osservazione; ma egli è al tempo stesso scetticoperché ricerca in quella Natura delle proprietà che altri non aveva ancorascoperto e pone in esperimento le proprietà già da altri sperimentateil cheprova il suo dubbio continuo; ed è critico perché i dati dell'altruiesperienza e della propria continuamente confronta con la Natura che ha davantiper superarne la contraddittorietà; idealista in quanto giunge ad unaconclusione che poi é il punto di partenza di quelli che verranno dopo di luicioè un nuovo momento dogmatico.

Ed è anche evidente la coesistenza e quindi il caratterelogico e non cronologico della successione dei suddetti momenti in quanto nella certezzastessa dei dati dell'esperienza altruicome prodotto della attivitàdell'esperienzaè il dubbio circa la coerenza dei dati stessi con laNatura; ed il dubbio sulla validità dei dati è certezza che essipossono trovarsicertezza e dubbio che si rivelano nella ricerca stessa(momento critico) attraverso cui si conclude (momento idealista).

L'identità tra Filosofia e Scienza è più chesufficientemente provata.

 

Concludiamo dunque affermando che questa pretesa antitesicome le altro duenon sono nella Filosofia o nella Scienza chein quantoattività di pensierosi identificanoma nella posizione mentale dei Filosofimilitanti o del cosiddetti Scienziati: dei primi cheattaccati alle loroformule fissesi estraniano completamente dalla Vita che vive e vuol viverefuori delle formule stesse; e poiché la Vita non può rinunziare adorganizzarsi scientificamente sotto ogni suo aspettosi pongono contro laScienza appunto perché sono contro la Vita (quella del pensieros'intendeenon è poco per dei.... filosofi); dei secondi perché concepiscono la Scienzacome complesso di dati o non come Storia (e lo vediamo chiaramente allorchédicono di non vedere nella Filosofia delle leggi fisse come due e due che fanquattro) e cioè perché conoscono un manuale od un testo relativo ad una brancascientificama non la Scienza. E pure gli uni e gli altri potrebberoidentificarsi fra loro all'infuori della Filosofia e della Scienzaperché gliuni e gli altri si attaccano ai dati elaborati dai loro Maestri o li ripetonoper tutta la vita come un sacro rito.

 

 

 

La Storia

 

Nel precedente capitolo abbiamo avvicinato dei concetti chea volerli guardare superficialmentesono fra loro inconciliabili: in tutte leepoche difatti la Scienza apparve in uno stridente contrasto con la Religione econ l'Arte più che con la Filosofiain quanto l'antitesi tra Filosofia eScienza - pur trovando addentellati in antichissime teorie - non è stata postaesplicitamente che in tempi assai vicini a noi.

Ora da quanto abbiamo detto in precedenza è ovvio chenessuna antitesi può essere trascendentecioè superiore al pensieroumanopoiché le antitesi sono io quanto il pensiero umano le ponecioè immanential pensiero stesso. Da questa immanenza delle antitesi noi possiamopertanto arguirecon lo Hegelche esse - non essendo al di sopra del pensieroumano e quindi delle due categorie principali del pensierolo spazio edil tempo - sono nello spazio e nel tempocioè il loro valore non èuniversale e perpetuoma semplicemente storico. Le antitesi sono dunquenel pensierocioè nella Storiama non sono il Pensiero e laStoria e perciò possono dal pensiero in quanto storia essere risolute in unasuperiore sintesi.

In tal guisa siamo tornati ai momenti storici dell'attivitàdel pensiero che per lo Hegel sono tre: tesiantitesisintesi;ma se noi consideriamo che alla tesi corrisponde quello che abbiamo chiamato momentodogmaticoall'antitesi quello che abbiamo chiamato momentoscettico ed alla sintesi quel che abbiamo chiamato momentoconclusivo o idealista - si vedrà subito dalla dottrina hegelianasaltar fuori il momento critico che sarebbe costituito dal processo percuiattraverso la tesi e l'antitesisi perviene alla sintesi.

 

Se e coìè fuor di dubbio che anche le due antitesi fra Scienzae Religionefra Scienza ed Arte possano essere risolute inuna superiore sintesi attraverso un processo del pensieroe questa sintesi nonpuò essere che l'atto del pensiero che supera le antitesi.

Infattise noi poniamo come criterio valutativo delleantitesi la realtà come atto del pensierorisulterà che la Scienzaè realtà in quanto è costruzione rigorosamente logica da parte delpensieroche la Religione è realtà in quanto essarappresenta l'atto del pensiero che riconosce la propria limitatezza difronte all'illimitato e quindi si autolimitache l'Arte è realtàin quanto esprime una reale situazione psicologica dell'artista.

Orase l'antitesi potesse avere un valore universalee perennecioè un valore superiore all'atto del pensieroè ovvio chenon potrebbero essere realtà tutti e tre i concetti - ma la realtà dellaScienza implicherebbe l'irrealtà della Religione e dell'Arte o viceversa controogni criterio logico.

 

Già la storicità del pensieromolto prima che nello Hegelsi trova affermata nel nostro Vico allorché questi asserisce che "gliuomini dapprima sentono senza avvertire poi avvertiscono con animo perturbato ecommossoinfine ragionano con mente pura"nelle quali parole sonopresso a poco quei momenti storici dell'attività del pensiero di cuiabbiamo parlato nel nostro capitolo su "La Filosofia i Filosofi ed isistemi Filosofici" o che poi abbiamo trovato nell'Hegel stesso.

Vero è che il Vico attribuisce a questi momenti un valoreessenzialmente cronologicocioè li collega fra loro in base ad un rapporto disuccessione anziché ad un rapporto di coesistenza - dal che verranno fuoriquelle difficoltà che abbiamo incontrato nel su cennato capitolo e chechiarificheremo - ma in realtà è merito essenziale del Filosofo Napoletanol'aver posto il problema intorno a cui la Filosofia contemporanea ancora siaffatica.

Ora il fatto che "gli uomini dapprima sentono senzaavvertire" non è in fondo che il momento dogmaticodell'attività del pensierocioè il momento in cui l'Uomo si affida allesensazioni e crede che esse da per se stesse gli rivelano la pretesa realtàesternama non avverte ancora le modificazioni dell'io coscienteche gli permettono di sentire omeglio ancorasi affida alle sensazioniconsiderate come impressioni che il mondo esterno proietta su di noi e non siaccorge della nostra reazione a questo mondo esternoper cui quelle sensazionisono e non possono essere che pensiero. Maallorché queste sensazionisi pongono tra di loro in contrasto per il tempoil luogo e lecircostanzequesto contrasto non può non generare dolore perl'impossibilità di conoscere la realtà esterioree questo dolorenon è che il perturbamentola commozione dell'animo - il che cispiega come gli uomini in un secondo momento "avvertano con animoperturbato e commosso". Infine l'Uomonon potendoin quanto attivitàdl pensierocontentarsi di questa posizione negativadeve superare in unasintesi superiorel'antitesi di dubbio e certezzaed abbiamoquindi il momento criticoquello cioè in cui "ragionano conmente pura" e giungono attraverso questo processo ad una conclusioneche è il dogma del ciclo successivo.

Oratenendo presente questa concezione vichianae traendole nostre conseguenzeavremo cheautoconsiderandosi la Religione inquanto forma religiosa come momento essenzialmente dogmaticoessacorrisponderebbe a quel primo periodo in cui gli uomini sentono senzaavvertire che è proprio - come abbiam visto - il momento dogmaticodell'attività del pensieroed autodistinguendosi l'Arte per le emozioni chenell'artista provocano l'entusiasmoil dolore ed il loro contrastoessacorrisponderebbe a quel secondo momento in cui gli uomini avvertiscono conanimo perturbato e commosso; infine la Scienzaautodistinguendosi pelsuo rigore logiconon è che il momento in cui gli uomini ragionano conmente pura.

Dunqueanche ad ammettere una netta distinzione (chenoi criticheremo) fra ReligioneArte e Scienzanoi non potremo parlare di un'opposizionecioè di un'antitesi che trascenda il pensiero per il fatto che il soggetto ditutte le proposizioni vichiane è sempre "gli uomini"cioèl'Uomo in quanto pensierocioè in quanto attivitàcioè Storia. Ecosì le antitesi fra Scienza e Religione fra Scienza ed Arte si risolvono nellasuperiore sintesi della Storia.

 

Ma la concezione vichianache è attività del pensierononpuò accettarsi fuori di questa attività medesimacioè come formula ocome volgarmente si dicealla letterain quanto il pensiero hastoricamente superato il valore cronologico che il Vico attribuisce ai momentistorici della sua attivitàha sostituito cioè al rapporto di successionechelegava quei momentiun rapporto di coesistenza. La Religione nonè quindi un momento cronologicamente distinto dall'Artené l'Arteun momento cronologicamente distinto dalla Scienza; tanto meno poiReligioneArte e Scienza sono momenticioè periodidella Storia. Solopartendo da una concezione errata della Storiae cioè considerando la Storiacome una mera successione di periodisi potrebbe arrivare ad una siffattaeresia non solo religiosama anche artistica e scientifica; si potrebbe cioèarrivareidentificando Religione e forma religiosaArte e concezioneartisticaScienza e complesso organico di cognizioni scientifiche contro ognilogica.

Infatti la forma religiosacioè la Religionepositivapuò essere considerata come periodo storico che l'attività delpensiero e quindi la Storia può superare. La Religione invece considerata come pensierochetrovando immanente in se stesso il suo limitesi autolimitanon puòesser superatanon essendo periodo storicoma Storiain quantoè necessario che il pensiero trovi sempre a se stesso dei limitie che tenticontinuamente di superarli per essere Storia. In tal guisa non è la Religioneche costituisce un periodo distinto e cronologicamente anteriore all'Arte e allaScienza - ma è una forma religiosa che si distingue da una formaartistica o da una forma scientifica(e la confusione avviene inquanto cosiddetti religiosicosiddetti artisti e cosiddetti scienziatiunilateralmente guardando Religione Arte e Scienzale identificanoempiricamente con le formecon le loro forme): ma se noi osserviamo a fondo ilcarattere della distinzionevedremo cheper es.una forma religiosaintanto si distingue da una forma artistica o da una forma scientificain quanto corrisponde ad una sua forma artistica e ad una sua formascientificain modo che la distinzione si traduce in distinzione tra formereligiose e forme religiosetra forme artistiche e formeartistichetra forme scientifiche e forme scientifiche.

La distinzione avvienecome abbiam detto a proposito deisistemi filosofici nel campo del pensatonon del pensiero.

Analogamente potremo affermare dell'Arte consideratacome espressione dell'entusiasmodel dolore e del contrasto di essinell'Artistapoiché il pensiero umanoper la sua libertànon può essercostretto a camminare sempre sul terreno d'una logica che sarebbe poi unalogica formalee continuamente da questa via è fuorviato dall'intimocontrasto in esso immanente dell'entusiasmo e del dolore. Lo stesso è della Scienzaconsiderata come attività del pensiero che continuamente rompe quei limitiche storicamente il pensiero stesso si è posti.

 

Da questa nostra argomentazione deriva che necessariamente lepremesse del Vico debbono essere integrate nel senso hegeliano della coesistenzadei momenti storici dell'attività del pensiero nell'attività medesima. In talguisa le antitesi fra ReligioneArte e Scienza sono superate nella sintesidella Storia non già nel senso che esse sono periodi della Storia che nellaStoria si assommano ma nel senso che esse sono già Storiacioè attività delpensierocioè FilosofiaUmanità. Sicuroanche Umanità perchéammessa la perpetuità della Religionedell'Arte e della Scienza in quantoattività del pensieroè ovvio che esse debbano essere identificate conl'Umanità non solo perché esse sono concretizzate storicamente dall'attivitàumanama soprattutto perché l'Uomo (cioè tutti gli uomini) è religiosoin quanto è costretto a porre un limite alla sua attività ed a riconoscerela limitatezza delle sue forzeed anche quando in una professione di ateismonega l'esistenza di Dionon fa che negare alcuni attributima quel Dio di cuiha voluto disfarsi ricompare sotto altre forme e sotto altri nomi (l'Increatol'Inconoscibilela Causa-causarumil Legislatore Supremola Ragione considerata come trascendente all'attività del pensieroetc.);così è anche artista in quanto non può in se sopprimere l'attivitàfantastica che è un momento essenziale della sua vitain quanto la vita nonpuò dirsi vissuta senza i perturbamenti e le commozioni generatedall'entusiasmo e dal dolore e dal contrasto di essie tanto più è vissutaquanto più intenso è questo contrasto; ed è scienziato in quantol'uomo che vuol vivere è pur necessario che conosca in qualche modo i rapportiche il pensiero pone tra i fenomeni naturali e che in qualche modo reagisca alleforze che la Natura gli opponetentando continuamente di superare il limite cheil pensiero ha posto alle sue forzeallo scopo di soddisfare i suoi bisognipratici.

Dopo tutto quanto abbiam dettoil problema della Storianella Filosofia contemporanea (ché l'espressione il problema dellaStoria nell'Idealismo moderno anche se adoperata da cosiddetti filosofiéerroneaperché attribuisce un valore classificazionista e cronologico aisistemied è naturale che da siffatti filosofi militanti non possano poiuscire che quei candidati e magari quei vincitori che le relazioni pei concorsia cattedre di filosofia nelle scuole medie lamentano) resta così spostatoperché non si tratta più di vedere se la Storia sia Arte o Scienzain quanto si è provato proprio il contrario e cioè che l'Arte e la Scienzasono Storia.

 

Maprima di concludere questo argomentoè necessarioesaminare la posizione mentale di quei cosiddetti storici cattedratici i qualipretenderebbero dare alla Storia un indirizzo antifilosofico: essi infattiricorrendo alla etimologia della parola (historeo=narro)ritengono che ilvalore della narrazione non può che essere obbiettivo per cui la funzionedello storico deve limitarsi necessariamente ad assodare la verità obiettivasullo svolgimento dei fatti mediante il cosiddetto metodo criticoprescindendodall'atto del pensiero che quei fatti determinaricostruisce e collega.

Intanto è bene tener presente che una siffatta concezionedella Storia risponde esattamente all'atteggiamento positivista del pensiero inquanto il positivisrno nega l'esistenza di tutto ciò che trascende il fenomeno(nella Storiain senso stretto parlandoi fenomeni sono i fattigliavvenimenti) e riduce la Filosofia ad una metodologia generale della Scienza: inaltri termini una siffatta concezione della Storia è un trasportare dallaFilosofia alla Storia la confessione della incapacità della mente umana atrascendere i fenomeni. Orapoiché il positivismomalgrado i difetticomuni a tutti i sistemi filosoficiè - si voglia o non si voglia - un sistemafilosofico come gli altrila concezione antifilosofica della Storia si riduce -senza che i suoi concepitori se ne accorgano - ad una concezione filosofica.

Ma ciò non basta: bisogna anzitutto precisare il significatodelle parole "metodo critico" e cioè se la critica debbaestendersi ai rapporti di connessionedi causa ed effetto tra i fenomenicioètra gli avvenimenti storici con evidente applicazione delle tavole baconiane -nel qual caso l'oggetto della critica non sono più gli avvenimentiuna i lororapportiche sono qualche cosa di posto e non di presupposto dal pensiero;oppure se la critica debba limitarsi ad assodare l'obbiettivo svolgimento degliavvenimentiprescindendo dai rapporti fra loronel qual casoavremo sempreun'attività del pensiero nella ricostruzione dell'avvenimento in sé coimomenti storici della attività medesima (dogmatico allorché ci si ponedavanti all'avvenimento; scettico allorché il dubbio ci spinge adesaminare le fonticritico nell'esame di questeconclusivo o idealistanella ricostruzione).

Anche ammessa dunque la possibilità di una concezione percui la Storia dovrebbe limitarsi ad una pura catalogazione di fattidi dati edi nomiessa non potrebbe mai prescindere dall'attività del pensiero cheattraverso i suoi momenti storiciè giunta a quella catalogazione.

Ma una siffatta concezione della Storia - che del resto ormaiè stata abbandonata dagli Storici più importanti e non trova seguito se non inquelli di minor valore - presenta delle gravi difficoltà: in primo luogomentre si dichiara criticaè prevalentemente dogmatica in quantoconsidera l'avvenimento storico come realtà obbiettiva cioè presuppostaal pensiero - ed il pensiero dovrebbe limitarsi a contemplare una realtà adessa preesistentementre il pensiero questa realtàricostruendosela sullascorta dei documenticioè costruendola originalmente (ossia diversamente daglialtri Storici) se la crea. Questa difficoltàche abbiamo ancheincontrato in una eventuale concezione classificazionista della Scienzaèancor più grave nella Storiaove l'oggetto di osservazione non è la Naturainertema è l'uomo stesso che è pensiero ed attività - di guisa che gliavvenimenti storici non possono essere né spiegabiliné giustificabiliall'infuori ed al di sopra del pensiero umano che li determina: non è quindipossibile una Storia obbiettiva (ma l'obiettività della Storia non puòconsistere - come volgarmente s'intende - nella sua esterioritàbensì nellasua realtà che è pensiero) che cataloghi avvenimenti sopra avvenimentiprescindendo dall'attività del pensiero che li determina in quanto gliavvenimenti storici non possono trovare la loro spiegazione in se stessi. Infineuna Storia così ricostruita in base a dati esatti quanto si vuolemaprescindendo dai rapporti che legano fra loro questi datiservirebbe unicamentea soddisfare la curiosità di qualcunoma perderebbe ogni interesse umanoogniimportanza storica.

Non v'ha dunque Storia possibile che non presuppongal'attività del pensiero come determinante degli avvenimenti e comericostruttrice originaria degli avvenimenti stessi: non v'hain altri terminiStoria se non identificata colla Filosofia.

 

 

 

Il Diritto

Tra le critiche che numerose ai muovono alla ragion d'esseredella Filosofia da non pochi cultori di ogni branca del Sapereneppure unaabbiamo potuto rintracciarne che provenganon diremo dai Giuristima neanchedai più modestidai più semplici cultori delle discipline giuridiche.Indubbiamente ciò rende più difficile il nostro compito poiché ci priva di unottimo punto di partenzamuovendo dal quale giungeremmoattraverso ilprocedimento ormai a noi familiare della dimostrazione per assurdoallaidentificazione del Diritto e della Filosofia: ma il fatto ha una suaspiegazione che riteniamo necessaria dare.

La nostra tradizione vuole che il popolo romanoessenzialmente pratico per ragioni geograficheabbia cercato disubordinare ogni attività intellettuale ai fini utilitari della propriaconservazione ed espansione nel mondo: ora questa concezione dell'attivitàintellettuale non poteva non costituire un ostacolo alla libera esplicazionedell'attività medesimao almeno ad alcune forme di essacome la formareligiosaquella fantastica e quella scientifica. La Religione non poté esserconcepita che come in funzione dello Statoche era l'unica realtà in quanto laconservazione e l'espansione si rendevano impossibili senza un organismocoordinatore ed organizzatore delle energie dei singoli: il Paganesimo fu così religionedi Stato; né Costantino ed i suoi successori interpretarono diversamente ilCristianesimoperché altra mira non ebbero - di fronte al dilagare trionfatoredella nuova fede - che quella di amicarsi questa forzapoderosa e capace dicrear dei martiriper puntellare l'Impero; e successivamente la Chiesanell'Occidente si organizzava con le stesse gerarchie e le stesse leggi di unoStato. Non diversamente dobbiamo affermare per l'Arte in cui manca quasicompletamente l'entusiasmoil dolore e qualsiasi drammatico contrasto che siaqualche cosa di intimo nell'Artista e di cui l'Artista si possa dire che vivaperché nel Romano mal si nasconde una preoccupazione a cui viene subordinatal'attività fantasticala preoccupazione di servire allo Stato: lo vediamo inLivio che dà parvenza di realtà a quelle leggende che possano educare asentimenti di abnegazione e di sacrifizio per la patria; in Virgilio che nelle Georgicheespone il modo dl bonificar la terra perché l'Italia basti a se stessa e non sirenda tributaria economicamente delle provincie; che nell'Eneide perde di vistail suo protagonista e non vede che tutto il popolo romano cui spetta il dirittodi governare e dominare il mondo. La Scienza non esiste che in poche nozioniframmentarieed è anch'essa considerata al servizio dello Stato: Archimede nonè romanoma il console Marcello vuole che egli abbia salva la vitaperchéegli ha messo la sua scienza al servizio della sua patria. D'altronde il "Saluspatriae suprema lex" ed il "Chi vuol salva la Repubblica misegua" del Dittatore nell'estremo momento del pericolo caratterizzanotutto lo spirito romano: i Romani non vivevano che per lo Stato e tutto era infunzione dello Stato.

Ma lo Stato e un'organizzazione giuridica ecome taledeveavere i suoi organi giuridici che non possono esser quelli degli altri Stati deltempo per il fatto che Roma è un organismo sui generis: non ha nulla ache vedere con la polis greca che è in lotta con la polis sorellaper questioni di egemonia commercialeod anche di territorioin quanto Romanon fa questioni di egemoniama più esplicitamente di dominio; non puòconfondersi coi grandi Imperi delle antichità perché questi sonoorganizzazioni militari. Così Romanon potendo prendere a modello gliordinamenti giuridici degli altri Statideve elaborare un nuovo dirittooper esser più esattidove creare il Diritto; ementre in essa lescuole che mirino alla specializzazione nelle artinelle scienze mancano oppurelimitano il loro programma ad elementari rudimentile Scuole del Dirittofioriscono e restano acquisite alla Storia.

Ora gl'Italiani malgrado tutte le immigrazioni edinfiltrazioni eterogenee del Medioevonon possono non risentire dell'influenzadella tradizionee così il Diritto che fu la vita stessa del popolo romanocontinua ad essere l'orgoglio della nostra stirpe.

Con ciò non intendiamo dire che le altre forme di attivitàintellettuale furono trascurate in tutti i tempiil che sarebbe un'eresiatroppo grave per poter essere presa sul serio dal più mediocre degli uominimasolo abbiamo voluto spiegarci modestamente la ragione per cui quella superficialitàquella unilateralità così diffuse in Italia nelle altre branche delloscibile- per cui i cultorigrandi e piccolidelle branche stesse non hannovoluto vedere nel loro campo di attività nulla fuorché il prodotto della loroattività medesima - esulano completamente nello studio del Dirittol'unicoprofondol'unico che non ha visto in nessun tempo dei cultori mediocrissimi eper nulla originali divenire depositari monopolistici dello speciale ramo diattività e disponitori di cattedre.

La ragione della mancanza di una sola critica alla ragiond'essere della Filosofia da parte anche dei più modesti suoi cultori è appuntoin questonella profonditànella serietà con cui il Diritto si è semprestudiato in Italiaché non è possibile l'altra spiegazione per cui i Giuristisi sarebbero mantenuti nei riguardi della Filosofia in uno stato di volutaignoranza per quello che andremo vedendo.

 

Anzitutto - come la Religione ha i suoi dogmil'Artele sue espressionila Scienza le definizionie la Filosofia le formule- il Diritto ha le sue norme giuridiche (CodicitrattatiStatutileggispeciali) che ne costituiscono il "pensato". Ora la primaquestione da affrontare è il vedere la possibilità di concepire questo pensatoindipendentemente dal pensiero che lo pensacioè nel caso specificoseè possibile considerare la norma giuridica come indipendente dall'attivitàgiuridica del pensiero che l'ha prodotta: se ciò fosse possibileilDiritto si confonderebbe con l'insieme delle norme giuridiche attualmente invigore in uno Stato determinatocioè si confonderebbe col Diritto positivo. Maquesto isolamento della norma giuridicache è prodotto dell'attivitàgiuridica da ciò che l'ha prodotto cioè dall'attività stessaci condurrebbea delle difficoltà: a) anzitutto non potremmo determinare il Diritto in quantoavendo ogni Stato un proprio diritto positivo diversoquando noncontrarioa quello degli altri Stati e - dovendo noi prescindere dalla coscienzagiuridica dello Stato che ha dettate quelle norme - noi non potremmo maisapere quale è il vero dirittoné potremmo identificarlo con quellodella nostra Nazioneperché anche le altre leggi sono diritto per glialtri popoli; b) la norma giuridica diverrebbe astratta poiché astrarrebbedalla coscienza giuridica della Nazionee pertanto non potrebbe essereapplicatanon avendo alcun valore coattivopoiché la coattività non puòdargliela che la coscienza giuridicache la rende concreta adattandolaalle esigenza storiche attuali; c) è contraddittoria perché o essa èfuori della coscienza giuridica che l'ha storicamente superato e quindi contraddicealla coscienza giuridica medesima e perciò non può essere pensata edapplicatao è pensata ed applicata ed allora fa parte della coscienzagiuridica che si esprime nell'esecutore della legge.

La norma è dunque inconcepibile indipendentementedalla coscienza giuridica che l'ha prodottaed essa in tanto èinquanto risponde alle esigenze della coscienza giuridica in un determinatomomento della sua attivitàchése non risponde più a questa esigenzerimane littera mortis finché il legislatore interprete della coscienzagiuridica attuale al suo superamento non trovi il modo di sopprimerla.

Spieghiamoci con un esempio tratto dai "PromessiSposi": Ai tempi dei bravi le "leggi" - considerate come normegiuridiche - contro i medesimi non mancavanoanziper servirci del terminemanzonianodiluviavano; ma esse avevano perduta la loro efficacia coattivaperché la "coscienza giuridica"offuscata da pregiudizi dinatura empiricacome l'amore del quieto vivere da parte dei deboli ed ildesiderio da parte dei potenti di sottomettere la Legge al proprio arbitrioaveva perduto il senso della propria universalitàche è la stessa universalitàdel Dirittonella particolarità dell'interesse personale e quindicessava di essere coscienza giuridica. Ciò vien confermato dal fatto chedeboli e potenti non ricorrevano alla Legge se non quando vedevano conculcati ipropri diritti o menomati i loro privilegimentre ­- allorché questiinteressi personali non venivano toccati - erano entrambi d'accordo nelmantenererispetto alla Legge stessaun contegno di indifferenza e diestraneità.

 

Il Diritto dunquein quanto coscienza giuridicapresuppone come suoi elementi costitutivi la coattività e l'universalitàche imprime alle proprie normele quali non possono - come abbiam visto­darseli da se stesse. Non può dunque esservi coscienza giuridica equindi non può concepirsi il Diritto se non vi siano questi elementicome condizioni indispensabili alla sua concretizzazione storica: ché infattiun nostro semplice desiderio che non riesca ad universalizzarsi divenendodesiderio generalecioè volontà razionale nostra in quanto uominie resta desiderio nostro in quanto individuinon può assolutamenteacquistare quel carattere di coattività che alla Legge si addice: essorappresenta un interesse da parte nostranon un diritto.Viceversaciò che non ha carattere di coattività non può averenaturalmente carattere di universalità in quanto esclude la necessitàche tutti vi si uniforminomentre la Legge è necessario che siaalmenoteoricamenteeguale per tutti.

Ora questi elementi costitutivi del Diritto si concretizzanonello Stato in quanto organismo giuridicoché coattività nonpuò essere nel Diritto senza i poteri che dispongono della forza di coercizionené può esservi universalità se i singoli non vengono posti di fronteall'autoritàcioè allo Statoin condizioni di parità di diritti e didoveri. Il Diritto è dunque inconcepibile - astraendo dallo Stato - perchéperderebbe i caratteri della coattività e dell'universalità chene sonocome abbiam vistogli elementi costitutivie non sarebbe quindi piùDiritto; né sarebbe possibile neppure parlare dello Stato indipendentemente dalDirittoper il fatto che lo Stato non è se la sua coscienza giuridicanon lo realizza nel Diritto.

Lo Stato ed il Diritto non sono dunque terminiopposti e neanche termini diversiin quanto si risolvono entrambi nella stessa coscienzagiuridica che li realizza e li concretizza. Noi consideriamo pertanto come formalela distinzione fra Diritto pubblico e Diritto privato per il fattoche il secondo si mantiene nei caratteri generali del Diritto (coattività eduniversalità)ed allora si risolve nel Diritto pubblicopoichépresuppone i poteri dello Stato e l'universalità della Leggeo si restringealla tutela del rapporti fra interessi privati e non è più Diritto. Infatti ladistinzione è posta dai Giuristi sul terreno della norma giuridicanongià di quella che abbiamo chiamato coscienza giuridica che concretizzasé stessa nelle norme in base sempre ai suddetti suoi elementi costitutivi.

 

Orapoiché lo Stato si pone come coscienza giuridicache si concretizza storicamenteil problema del Dirittoviene necessariamente a ricondursi al problema della Storia. Lo Statoinfatti non è soltanto un organismo giuridico che realizza dei fini ad essopresuppostima è soprattutto un organismo etico in quanto questi finiprima di realizzarlise li pone da se stesso: esso è in altri termini coscienzaetica chedinanzi alla necessità di realizzarsi universalmentesitrasforma in coscienza giuridica; mapoiché questa realizzazione non èpossibile che avvenga in un determinato momento della Storiain quantoinquesto casoquel momento sarebbe tutta la Storiane consegue che questatrasformazione si svolge gradualmente cioè storicamente e cheper conseguenzala coscienza giuridica si concretizza storicamentecioè nella Storia.In altri terminil'attività giuridica del pensiero non prescinde dai tempi edai luoghima vi s'immedesima profondamente al punto che il Diritto si risolvenella Storia del Dirittocioè nella Storia.

Ché il pregiudiziodi natura essenzialmente empiricasecondo cui il Diritto potrebbe distinguersi dalla sua Storiacioè dallaStoriadeve essere completamente eliminato in quantose noi non ci fermiamosulle parole e cerchiamo di penetrare invece nella sostanza delle cosedobbiamoapertamente riconoscere che è impossibile studiare il Dirittoastraendo daitempi e dai luoghi in cui la coscienza giuridica lo concretizzò nelle normegiuridiche positivein quanto la ragion d'essere di quelle norme deve esserericercata proprio nella loro attualitàcioè nella rispondenza ai tempi ed alluoghi in cui questa concretizzazione si verificò; come d'altra cantoèimpossibile studiare la Storia - sia pure in un manuale elementare a caratterenarrativo - prescindendo dallo svolgimento del Dirittoin quanto la vita deipopoli si svolgesia in pace che in guerrain base alle norme di un dirittoquando consuetudinario quando positivoche è indispensabile a spiegarci questavita medesima; ed anche quando la Storia par che si limiti ad una cronologicaesposizione di datedi battaglie e di nominon può fare a meno dal constatareche quelle battaglie furono la conseguenza di una violazione o di una pretesaviolazione di trattati commerciali ed internazionaliche regolavano in queitempi i rapporti fra i belligeranti.

Ricondotto il problema del Diritto a quello della Storiavi troveremo subito gli stessi termini e diremo che il Diritto è primadi tutto pensiero in quanto presuppone una elaborazione mentale dellapropria materiapoi è umanità in quanto la sua concretizzazione e lasua attuazione non sono possibili prescindendo dall'Uomoconsiderato nella suauniversalità; infine è attività in quanto la coscienza giuridicanon può concretizzarsi - come abbiam visto - che nell'attualità della Storia.Ed allorase il Diritto è pensieroumanitàattivitàesso non è che Filosofia considerata come attività del pensiero umano:l'identificazione del Diritto e della Filosofiaimplicita fin dalle primeparole di questo capitolorisulta ora provata nella sua massima chiarezza edevidenza.

Ma ora bisogna affrontare un'altra questionee cioè: "seil Diritto è Filosofiacome è possibile parlare di una Filosofia del Dirittoche sarebbe pertanto una Filosofia della Filosofia?" Per noi laquestione è la stessa che si pose tempo fa sulla possibilità di unaFilosofia della Storia: allora - e fu merito dell'idealismo - sirispose in modo definitivo che l'esistenza della Filosofia della Storiaimplicava una distinzione impossibile fra l'una e l'altrapoiché la Storiainquanto studio di avvenimenti umaninon è che Filosofiamentre la Filosofiaessendo attivitànon può essere che Storia. Ora in questa concezione cipare che dovesse essere implicita l'impossibilità di una Filosofia delDiritto se una netta distinzione tra Diritto e Storia non può esser fattaneanche sul terreno empiricoe pure nessuno ricavò in quel momento unaconseguenza così elementarmente logicaneanche il Croce che dimostrò unostraordinario ardore bellico nei riguardi della Filosofia della Storiamentrenei riguardi della Filosofia del Dirittotacquenon sappiamo se per ragionifilosofiche o per ragioni empiriche e contingenti.

Né d'altro canto riteniamo possibile la Sociologiacome scienza generale della Società in quanto una siffatta possibilitàdovrebbe basarsi su due pregiudizi che il pensiero contemporaneo ha eliminati: unafalsa concezione cioè della Storia per cui in essa non si dovrebbe vedere cheuna esposizione di avvenimenti umani prescindendo dai rapporti che legano questiavvenimentiin modo che essi possano essere l'oggetto della Storiae irapporti di collegamento quello della Sociologia; una pretesa distinzione frascienze naturali e fisiche da una parte e scienze storiche e giuridichedall'altrain modo chearbitrariamente concependo la Storia come cronologia edil Diritto come norma giuridicasi renda necessaria una sintesi delle pretesescienze storiche e giuridiche nella Sociologia considerata come Scienza generaledella Società.

Che trattasi di pregiudizi è provato in modo chiaro edevidente dalla impossibilità di separare gli avvenimenti umani della Storia daquella che è l'attività umana del pensiero che quegli avvenimenti collega inrapporti di interdipendenzaper cui il compito della Sociologia viene assorbitocompletamente dalla Storiae viceversa la Sociologia non può trovare la suaragion d'essere in una dottrina generale della Società perché questa dottrinanon è concepibile staticamentema dinamicamente e cioè storicamentee quindila Sociologia è un inutile doppione della Storia non solo nella materiamaanche nel metodo; risulta inoltre dalla impossibilità di distinguere fra scienzesperimentali e scienze storico-giuridiche in quanto le prime nonpossono essere scienze se le consideriamo staticamente come corredo dinozionima lo sono in quanto sono attività scientifica che si svolge pergradicioè Storia - e viceversa la Storia ed il Diritto non possonoprescindere dall'attività scientifica del pensiero umano in quantoquest'ultimaessendo anch'essa umanitànon può a sua volta non ripercuotersisu quelle che sono le altre forme della medesima attivitàper cui una Storiaed un Diritto che prescindessero dai risultati dell'attività scientifica nonpotrebbero essere Storiané Dirittoappunto perché essi sono in quantomirano all'universalità del realeuniversalità che sarebbe unnon senso se alcune forme dell'attività umana venissero trascurate.

 

 

 

L'Economia

 

Come le altre branche del Sapereneanche l'Economia riesce asottrarsi a pregiudizi di natura empirica ed antifilosoficicome nelle altrebranche del Sapere il carattere filosofico dell'Economia trova la suaaffermazione e la sua spiegazione anche e soprattutto in questi pregiudizi.

Infatti l'affermazione antifilosofica dell'Economia èimplicita nelle due correnti chenel volger dei secolisi sono contrastato ilcampo al riguardo: la corrente mistica chescindendo l'attività umanain attività superiori che dovrebbero riguardare semplicemente ilpensieroed attività inferiori che riguarderebbero soltanto il corpoumanotende a svalutare completamente il fatto economicorelegandolo tra le seconde e considerandolo estraneo alle prime attività;la corrente deterministica chepartendo dalla stessa netta separazionefra le varie attività umanemira a sopravvalutare quel fattoritenendo che la possibilità o l'impossibilità da parte dell'uomo disoddisfare i suoi bisogni economici sia l'unicood almeno il principalefattore determinante di ogni altra attività. Naturalmente questa correntedà alle cosiddette attività dei nomi diversi da quelli che dà ad esse laprimae chiama attività necessarie quelle inferiori ed accessorieo di lusso quelle superiori.

L'opposizione tra le due correnti ecome ognun vedesemplicemente formale: sostanzialmente noi non vediamo che una perfettaidentitàsia nella premessa che esse non pongonoma presuppongonoall'attività economica (in quanto nessuno l'ha mai provata) che cioè vi sianodiverse attività nell'uomo e che queste attività siano estranee l'una allealtre (ché altrimenti la loro diversità non si capirebbe in che consista)sianella classifica di queste attività di cui - come abbiam visto - solo inomi sono cambiatisia nella conclusione per cui si attribuisceall'Economia un carattere antirazionale ed antifilosoficoin quanto l'Economiaverrebbe ad essere relegata fra le attività inferiori o necessariea secondache noi partiamo dalla corrente mistica o da quella deterministicae la Filosofia tra quelle superiori o accessorie o di lusso: sarebbero cioèseparate nettamente fra di loro da una rigida classificazione che non ammettepunti di contatto come avviene nelle caste brahmine.

 

Cominceremo coll'esaminare la premessa: èin primoluogopossibile una distinzione nettafatta anche sul terreno meramenteempiricofra quelle che impropriamente si chiamano attività umane e nonsonocome vedremoche forme dell'attività medesima? E su qual criteriosi fonderebbe siffatta distinzione?

A noi pare che a questa domanda non sia mai stata data unarisposta in armonia con le suddette correntio almeno che non si sia mairisposto in maniera esauriente; e non si può esaurientemente rispondere perchénon basta distinguere i bisogni umani in immediati e mediati peraver dimostrato che vi e un'attività inferiore o necessaria chemira al soddisfacimento dei primi ed un'attività superiore o accessoriache si preoccupa di soddisfare ai secondiin quanto possono esservi dei bisogniimmediati dal cui soddisfacimento esula ogni principio utilitario e viceversadei bisogni mediati il cui soddisfacimento riguarda direttamente la formaeconomica dell'attività umana. E nemmeno può adottarsi come criteriovalutativo di questa suddetta distinzione lo stesso principio dell'utilitàperchéin questo casodovrebbe ritenersi utile soltanto ciò che èprodotto della pretesa attività inferiore o necessariamentre ilprodotto della attività superiore o accessoria dovrebbe essereritenuto qualche cosa di completamente estraneo all'utile stesso.

Abbiamo esaminato due soli criteri in base a cui potrebbegiustificarsi la distinzione delle attivitàed abbiamo visto come nonpossano reggeree così non può reggere nessun altro che miri a giustificareciò che non è giustificabile: ché infatti "distinguere"significa attribuire caratteri di autonomia ai distinti e quindi definirli.Ora è qui il nodo della questione: se cioè le cosiddette attività umaneabbiano effettivamente i caratteri dell'autonomiapotendo ciascuna essereconsiderata indipendentemente dalle altree quindi se possano essere definite.

Poiché l'attività tende sempre a soddisfare dei bisogni -ché altrimenti attività non potremmo avere se non sentissimo il bisogno diagire - è necessario cominciare ad esaminare la natura dei bisogni stessi: oratutti i nostri bisognianche quelli della nostra vita quotidianasi presentanoa noi con una natura complessatale cioè che richiedeper il realesoddisfacimentonon l'applicazione di una sola forma della nostra attivitàmal'impiego da parte nostra di tutte le forme dell'attività stessaCosìper es.per soddisfare a quello che sembra il più semplice dei nostri bisogni economiciquotidianil'alimentazionenon basta la semplice forma economica dellanostra attività consistente nelle produzionenella distribuzionenel consumo;intervengono invece tutte le altre forme come la forma etica in quantonon sarebbe all'uomo possibile procacciarsi da vivere se egli prescindessecompletamente dai vincoli morali che lo legano alla Società concretamenterealizzata nella famiglianel Comunenello Stato; la forma giuridica inquanto gli alimenti non possono procacciarsi che in armonia con quella che è lacoscienza giuridica attuale della Società in cui vivementrese egliprescindesse da questa coscienzanon troverebbe che lo arbitrio come unostacolo formidabile al soddisfacimento medesimo; la forma scientifica inquanto gli alimenti che l'uomo consuma sono stati prima prodotti in base acriteri di razionalitàche l'uomo stesso ha applicato perché la produzione siadeguasse al consumo nell'attualità della Storia e non si determinasse unosquilibrio tra l'una e l'altrosquilibrio che determinerebbe a sua volta lacrisi di sottoproduzione o di sovrapproduzione. E quel che avviene per quelloche è il più elementare dei nostri bisogni si verifica a maggior ragione pertutti gli altri; ma vi è qualche cosa di più: il modo dell'intervento dellevarie forme di attività nel soddisfacimento dei bisogni in quanto questeattivitàda quel che abbiamo dettonon risultano come separate ed alleatecausalmentema come intimamente collegate e coordinate. Ciò presupponeevidentemente una attività superiore che le colleghi e le coordini e cheperciò è l'unica attività umanacioè l'attività del pensierodi cui lepretese attività superiori ed inferioriaccessorie o necessarie non sono chesemplicemente delle forme come ci proponevamo fin dal principio didimostrare.

 

Veniamo alla questione della classifica delle attivitàin superiori ed inferiori oppure in accessorie e necessarie:ripetiamo che il criterio classificazionista si spiega e si giustificanel campo del pensato che è il prodotto dell'attività del pensiero o diuna determinata forma di esso - posto checontrariamente a quel che provammopossa agire una forma distinta - ma non può assolutamente giustificarsinel campo del pensiero che e l'attività producente. Il pensierocioè l'attivitàclassifica ma non è classificatocatalogama non ècatalogatoa meno che non si classifichi e si cataloghi da se stesso (ed inquesto caso il classificato ed il catalogato distinguendosi dal classificante edal catalogante cesserebbe di essere pensiero per divenire pensatocesserebbe di essere attività per divenire prodotto dell'attività).Dunque nessuna classificazione delle attivitàneanche delle forme dell'unicaattività è possibile; tanto più è assurda quella implicita o esplicitasianella corrente mistica che in quella deterministica. Ammettendoinfatti con la prima che la virtù consista nell'astrarrecompletamente da quella che è la vita empirica per concentrarsi nellacontemplazione di ciò che é o che crediamo razionaleconcependolonaturalmente presupposto alla nostra attività intellettiva e volitivaèlogico che l'uomo perderebbe la visuale dell'attività che è pure attivitàumanacioè cesserebbe di essere uomo perché cesserebbe di realizzarsi nellaconcretezza della Storia da cui si astrarrebbe nel tempo stesso che la fa;cesserebbe anche di esser virtuoso non operando concretamente per realizzare lavirtù. Ammettendo d'altro canto che la base del vivere sociale sia il benesseree che la virtù non sia che una derivazioneaccessoria per giuntadiessosi arriverebbe all'altra assurdità logica di sostituire nella concezionesociale della vita l'uomo-empirico all'uomo-razionalel'individuo all'umanitàdimenticando che il primo è un momento della Storia ed è transeuntelaseconda è la Storia ed è eterna; perché si ha un bel distinguere - come nellascuola inglese - fra benessere individuale e benessere socialericorrendo alle tavole algebriche dell'Etica del Mill e dello Spencerma inrealtà il benessere preso come base del vivere sociale non può essereche il benessere individuale in quantose noi lo consideriamoprescindendo dall'attività intellettiva e volitiva del pensiero che lodeterminanon possiamo assolutamente concepire come l'individuo possasacrificare il proprio interesse a quello generalea meno che non si propongadi ottenerne maggiori vantaggi.

Ciò provatoci pare perfettamente inutile insistere sullaterza questionesull'antitesi cioè tra la Filosofia e l'Economiache cadecedendo il luogo alla identificazioneallorché si è dimostrato che la formapuramente speculativa e la forma economica dell'attività del pensiero umano nonson nulla di diverso e di distintoma sono la stessa cosa..

Oratornando alle correnti empiriche dell'Economiavi èancora un'altra cosa da notaree cioè che esseprescindendo dall'unicaattività umana checome abbiam vistocollega e coordina le sue formefiniscono col prescindere anche dalla stessa forma economica dell'attivitàmedesima. Già si è visto che esse partono necessariamente da una premessapresupposta all'attività e non posta da essacioè da una premessa nondimostrata e non dimostrabile. Lo stesso avviene di tutte le leggieconomiche che noi consideriamo empiricamente cioè presupposte all'unicaattività di cui parlammo omeglio ancorache consideriamo come pensato.

Si suoleper esempiodefinire l'Economia come laScienza che insegna a raggiungere il massimo risultatoimpiegando il minimomezzoma l'accettazione di una definizione siffatta implicherebbel'accettazione delle seguenti condizioni: a) che l'Economia siauna Scienza fra le Scienze; b) che in essa non si studi altro che irapporti fra i risultati raggiunti ed i mezzi impiegati per raggiungerli; c)che questi rapporti siano costanti in tutti i tempi ed in tutti i luoghi;d) che lo studio di questi rapporti sia estraneo a tutte le altre Scienze equindi sia il carattere distintivoil carattere cioè che definisce l'Economia.

Vediamo se queste condizioni sono accettabili. In primo luogol'Economia è Scienza in quanto - come si è veduto - presuppone nelsuo determinarsi l'intervento della forma scientifica dell'attività umana:ciò è indubitato ed indubitabile pel fatto che tanto la produzione quanto ilconsumo quanto ancora il rapporto tra produzione e consumo sono regolatiscientificamentecioè con l'applicazione della Scienza in tutte le suebranche. È ovvioanche a guardar le cose empiricamenteche l'invenzione diuna nuova macchinamentre da un lato è creazione di ricchezzadall'altroaccresce innegabilmente il fenomeno della disoccupazioneal cui male non puòrimediarsi se non coll'adozione di altri criteri scientifici; è anche ovvio chel'applicazione di criteri scientifici alle forme della produzionespecie aquella agricola ed a quella industrialeha trasformato l'Economia mondialesostituendo al feudalesimo ed al corporativismo medioevale ilcapitalismo agrario ed industriale. Ma se noi guardiamo da questo punto di vistal'aspetto scientifico dell'Economiadovremo concludere che tutto siaScienza in quanto tutto presuppone nel suo determinarsi l'intervento della formascientifica dell'attivitàe non sarebbe esclusa neanche l'Arte cui la Scienzaallestisce l'inchiostrola cartai suoni o i marmi che sono i mezzi della suadeterminazione.

Quello che invece qui si contesta è che l'Economia sia unascienzacome volgarmente s'intende - cioè nel significato empirico dellaparola - cioè nella sua organizzazione: per poter affermare ciò bisognerebbepartire da un altro presupposto indimostrato ed indimostrabilee cioè che leleggi in cui l'Economia si organizza siano qualche cosa di superioreall'attività volitiva ed intellettiva dell'uomoed invece quelle leggisono create dalla medesima attivitànon solo nel senso dell'enunciazionevalea dire nel senso che l'uomo l'ha ricavate dalla realtà esternama ancheesoprattuttonel senso che l'uomocon la sua attivitàha determinato quellecondizioni di vita da cui poi ha ricavate le leggi. Ed allora l'Economiasotto questo aspettonon può essere considerata come Scienzama piuttostocome Storia e come Diritto.

I problemi fondamentali dell'Economia non sono diversida quelli della Storia e da quelli del Dirittooltre che per il fatto che essasi svolge e si concretizza storicamente anche perché non può prescindere dalloStato considerato come coscienza giuridica e come coscienza storica: non si puòconcepire se non empiricamente una Economia che si svolga indipendentementedallo Statoe perciò tutte le teorie che concepiscono una netta distinzionefra i due termini si risolvono nelle correnti empiriche.

La cosiddetta economia liberaleper es.si risolve nei suoitermini contraddittori allorché pone come suo presupposto la neutralità delloStato nei problemi della produzione o del consumoin quanto considera poiproduttori e consumatori nei limiti dell'attività dello Stato stesso nella loroqualità di cittadini - come se le due attività potessero scindersie come sefosse possibile realizzare i fini dello Statoprescindendo dall'attivitàeconomica dei singoli e delle classi.

In secondo luogo non è possibile che l'Economia studi irapporti tra i risultati raggiunti ed i mezzi impiegati per raggiungerliperché questi rapporti non sono e non possono esser mai costanticome ladefinizione presuppone. L'importanza del risultato è la conseguenza non solodegli sforzi impiegatima soprattutto dell'attualità storica in cui il primosi ottiene ed i secondi si impiegano: ora é appunto questa attualità che nonpuò in alcun modo calcolarsi nella determinazione dei suddetti rapportiinquanto essa non è che attività del pensiero irriducibile assolutamentea formule algebriche ed aritmetiche.

Oranon essendo questi rapporti costantine viene diconseguenza che solamente possano studiarsi i rapporti fra mezzi già impiegatie risultati già raggiuntie non tra mezzi che si dovrebbero impiegare erisultati che si potrebbero raggiungere; main questo casoil compito dell'Economiasarebbe qualche cosa di inutile perché il suo valore dovrebbe consistere invecenel fornire i criteri di porre quei rapporti per poter determinare l'attivitàeconomica avvenire. Compito dell'Economia è in altri termini quello diinsegnare a raggiungere il massimo risultato applicando il minimo sforzonongià di valutare i risultati passati (che non possono più verificarsi per laprovata incostanza dei rapporti) in base ai risultati impiegatinel qual casolo studio della Economia sarebbe… uno sforzo sproporzionato ai risultati chesi prefigge.

Pure questi rapporti avvenire si possono conoscere attraversoquelli passatima soltanto inserendoli nella concretezza attualenellaconcretezza storicain quanto c'è nella loro determinazione una cosa costantel'attività del pensiero che ai concretizza storicamente; ma in questocaso lo studio dell'Economia non si limita ai rapporti suddettima ènecessario che penetri nell'attualità storica in quanto attività del pensieroche i detti rapporti pone e non presuppone.

Infine non è possibile che lo studio di questi rapportisiapure considerandoli posti e non presupposti dall'attività del pensierosiaconsiderato come il carattere distintivo e quindi definitivodell'Economiaperché si dovrebbe presupporre che nelle altre scienze e nellealtre forme di attività si possano concepire dei mezzi inadeguati al risultatoche si propone di raggiungere colui che li adoperae ciò non solo contro ognicriterio logicoma perfino contro il più elementare senso comune.

Così abbiamo affermato il carattere universaledell'Economiauniversale perché non considera la forma economicadell'attività umana come pertinente all'uomo individualmente ed empiricamentepresoma all'uomo nella sua universalità. in quanto i bisogni umani nonpossono esser soddisfatti prescindendo dall'attualità sociale e storica in cuiessi si manifestano; l'attività in quanto senza di essa i bisogni stessinon potrebbero né porsiné esser soddisfatti; il pensiero in quanto èin esso che si pongono i rapporti fra mezzi e risultati per l'avvenire in basealla coordinazione del principio di causalità con quello di finalità che sonleggi del pensiero in quanto dal pensiero son poste. Non v'ha dunque dubbio chesul terreno positivo come su quello negativo si debba concludere per l'identitàdi Economia e Filosofia.

 

 

 

La Ginnastica

 

A molti sembrerà strano che in un lavoro che è oalmenopretende essere di filosofia si dia adito non soloma perfino si dedichiun apposito capitolo ad un argomento che n'è tanto lontano; pure per noi questastranezza e questa lontananza non esistono se non come posteanzipresupposte da quelle medesime correnti empiriche già lamentate eche in questocome in altri campi dell'attività umanahanno semprepredominato e continuanomalgrado tuttoa predominare.

Una di queste correnti infattiritenendo che ogniesercizio di carattere fisico non sia che una distrazione da quella che deveessere la severità e la serietà degli studipropendenelle sueconclusioni estremepel completo sacrifizio della Ginnastica allo studioo tutt'al piùnelle sue forme moderateal relegamento di essa nelle ore diozioconsiderandola come una specie di riposo e privandola di moltemanifestazioni concrete in cui essa si realizza; viceversa un'altra correnteritenendo che la forza umana debba intendersi essenzialmente come forzafisica per cui l'unica salute è quella del corpo che lo studio può deprimerema non rafforzareperviene naturalmente alla conclusione opposta e propugnal'estensione obbligatoria a tutti della Ginnastica ed in tutte le suemanifestazioni concretee la limitazione dello studio al minimo delle nozioniindispensabili alla vita contingentementre quelli che sono gli altiproblemi che l'attività del pensiero si pone resterebbero di competenza dipochi eletti ossia di pochi illusi che da se stessi si pongono al bando dellaVita.

Intanto però queste due correntipur essendo in apparenzaoppostesono - come quelle che abbiamo incontrato nel precedente capitolo aproposito dell'Economia - sostanzialmente identiche in quantohanno comune il punto di partenza consistente nella scindibilità dell'unicaattività umana in varie attività distinte ed autonomecomune il metododella classificazionecomune la conclusione per cui fra Studioe Ginnastica vi sarebbe un'antitesi che non può risolversi se non con lasoppressione di uno dei due termini dell'antitesi stessao tutt'al più con lasubordinazione di un termine all'altro; diremo meglio: queste due correntinon sono sostanzialmente identiche come quelle che si contendono il campodell'Economiama sono tra loro sostanzialmente identiche perché sono quellestesse che a proposito dell'Economia abbiamo esaminate e potremmo a quellericondurle solo che noi identificassimo lo Studio con le attività superiori ela Ginnastica con quelle inferiori o lo Studio con lo attività accessorie e laGinnastica con quelle necessarie.

Orapremesso tutto ciòè facile dimostrare l'empiricitàe l'insostenibilità di queste correntirichiamandoci a ciò che nelprecedente capitolo abbiamo detto: se è stato provato che è impossibileconsiderare come autonome e distinte le attività umane in quanto esse non sonoche le forme in cui esteriormente si manifesta l'unica umana attività che èattività del pensieroè ovvio checome non si è potuto distinguerese non empiricamentefra attività superiori ed inferiorifra attivitànecessarie ed accessorienon si può neanche se non empiricamentedistinguerefra attività puramente fisica ed attività puramente intellettuale. E non sipuò distinguere perchéripetiamo distinguere èprima di tuttodelimitare il campo e definire i distinti eper quel che sappiamo maifu delimitato il campo dell'attività fisica e dell'attività intellettualeperché nessuno mai é venutoné verrà a dirci dove l'una finisca e dovel'altra cominciné mai dell'una o dell'altra attività è stata data unadefinizione che non si risolva in una proposizione tautologicacollaripetizione nel predicato dei termini già impliciti o espliciti nel soggetto.

Ma se non si può delimitare razionalmentecioè con criteririgorosamente logiciil campo dell'attività fisica e dell'attivitàintellettuale in modo da tracciarne definitivamente e con la massima precisionequelli che si chiamano confini - dev'esserci una causa di questa impossibilitàuna causa cui noi dobbiamo risalire per poterci spiegare l'effetto.

Seponiamo l'ipotesidobbiamo intendere per attivitàfisica l'attività del nostro corpoche si esplica nei suoi movimentiequesta attività deve essere intesa indipendentemente dall'attività unicadeterminatrice e coordinatrice del pensieronoi dovremo logicamenteconcludere che l'attività puramente fisica si riduce ai movimentiinconsci del nostro corpocioè ai movimenti caotici e disordinati diesso: ora un tal genere di attività (se attività può chiamarsi) èindubbiamente qualche cosa di estraneo allo Studioma non è nemmeno la Ginnasticasia perché questaper esser taledeve concretizzarsi storicamente indeterminate manifestazioni (motociclismoschermanuoto ecc.)sia perchéessanell'atto del concretizzarsideve dare a queste manifestazioni unalogicità rigorosa basata sulla utilità e sulla necessità di determinatimovimenti che perciò non possono essere movimenti inconsci del corpo.Non può dunque esservi Ginnastica in quanto forma tisica dell'unica attivitàumana quando manchino le altre forme della medesima attività e l'attivitàstessa come coordinatrice dei mezzi adoperati per superare gli ostacoli e peraffrontaresuperandolii pericoli.

Viceversa non si può concepire un'attività puramenteintellettualeche prescinda cioè da questa forma fisica dell'attività delpensieroin quanto l'attività intellettuale é intimamente connessa con lanostra sensibilità e non potrebbe assolutamente esplicarsi se noi non fossimodotati di occhi per vederedi orecchie per sentiredi mani per toccaredinaso per odorare e di palato per gustare: vero è che è l'attivitàintellettuale che educa questi organi sensori ad esercitare razionalmente lapropria funzionema è anche vero che questa educazione non potrebbe aver luogose gli organi stessi non esistessero.

Non v'ha dubbio dunque cheanche in questo camponon possaparlarsi di attività distinte ed autonomema solamente di formediverse di un'unica attività umana che è l'attività del pensiero.

Ma risolvere l'antitesi tra Studio (che é attivitàdel pensiero e quindi Filosofia) e Ginnastica in una superiore sintesiche é la stessa attività del pensiero in quanto determinatricecollegatrice ecoordinatrice delle sue formeè la stessa cosa che ricondurre il problemadella Ginnastica a quello della Storia.

Ciò non è veramente una novità se Platone sentì ilbisogno di inquadrare nelle molteplici funzioni ed attribuzioni del suo Statoideale l'insegnamento della Ginnastica cui diede una importanza specialee senoi dobbiamo considerare lo Stato come coscienza storica che si realizzaconcretamente; ese è indubbiamente vero che Piatone presenta le diverseforme di attività come distinte ed autonome al punto di attribuire il monopoliodi un'attività ad una classe e quello di un'altra attività ad un'altraciònon può in alcun modo infirmare la storicità della Ginnastica sia perchéPlatone superò originalmente l'antitesi nella sintesi della sua Repubblicasiaperché la distinzione delle classi fatta da lui rappresenta il prodottostorico dell'attività umana in quei tempicioè la concretizzazione di questaattività nella Storiaed é evidente che Platonein quanto uomo ed inquanto pensatoredoveva vivere nella Storia e non poteva prescindere dalle sueconcrete realizzazioni

Ora la storicità della Ginnastica in quanto forma fisicadell'attività umana è proprio nel continuo superamento chel'attività del pensiero fa delle sue manifestazioni concretecioè storichecheattraverso il volgere dei secolinoi vediamo sorgere e declinaretrionfare e spariresoprattutto trasformarsi continuamente al punto da rendereassai arduo lo studio del loro processo genetico; superamento che l'attivitàumana fa continuamente in questocome in tutti gli altri campiappunto perconcretizzarsi nella Storia. E di fronte al variare delle manifestazionilaGinnastica permane in quanto forma fisica dell'attività umana - come abbiamovisto - cioè come pensieroalle cui leggi non può neppure essasottrarsicome umanità perché è sempre l'uomo che la realizza nellesue molteplici manifestazionicome storia in quanto questa realizzazioneè qualche cosa dl continuoin una parola come "filosofia".

Possiamo pertanto concludere come cominciammo coll'affermareche l'opposizionepresupposta dalle suddette correnti empirichefra Studio eGinnasticanon regge sul terreno della razionalitàin quanto muove pernecessità da una interpretazione falsa dello Studio considerandolo come obbiettivitàpresupposta all'atto della ricerca da parte dell'attività del pensieroanziché come la stessa attività del pensieroe da una falsainterpretazione della Ginnastica che viene considerata come prodottodi una pretesa attività autonoma anziché come forma fisica dell'unicaattività umana.

 

 

 

La Filosofia come autoformazione della personalità umana

 

Prima di riprendere il filo della nostra argomentazioneènecessario tornare brevemente sul carattere generale delle correnti empirichedi cui ci siamo occupati.

Le abbiamo incontrate in ogni campo di studio; nella Religioneove miravano alla forma religiosa determinata in cui l'attivitàreligiosa del pensierotendente a limitar se stesso in relazione alla proprialimitatezzasi concretizzama prescindevano da quest'attività medesima; nell'Arteche guardavano nelle sue forme determinateprescindendo dall'attivitàfantastica del pensiero che le crea; nella Scienza che consideravano comesistemazione di scoperte ed invenzioni già dateastraendo dalla formascientifica dell'attività del pensiero che scopre ed inventa ed infine sistema;nella Storia ove l'attività umana si dissolveva nei daticosiddetti obbiettivi; nel Diritto ove la coscienza giuridica sparivadinanzi alla norma giuridica del Diritto positivo; nell'Economia in cuila forma economica dell'attività umana si risolveva nelle sue leggi che venivanpoi considerate come trascendenti rispetto all'attività stessa; nella Ginnasticaove si prescindeva completamente dall'attività fisica come forma derivatadell'unica attività del pensiero e si consideravano le manifestazioni ginnicheconcrete come estranee a quell'attività che le aveva concretizzate.

È chiaro dunqueper chi ci ha seguito attentamenteche lesuddette correnti hanno un punto in comuneil mancato approfondimento delleproprie asserzioniquella cioè che si chiamerebbe eccessivasuperficialità.

Viceversa la nostra critica abbastanza minuziosa edesauriente ci ha condotti alla prova che non esistono attività umaneautonome e distintee quelle che sembrano taliguardate un po' piùprofondamente di quel che ordinariamente non si faccianon sono che formederivate dall'unica attività umana che è attività originaria del pensiero.

Un terzo punto che abbiamo assodatoa proposito sempre dellecorrenti empiricheè che esse sono le stesse in qualunque campo le abbiamoincontratocioè arrivano sempre ad una medesima conclusione: la distinzionedelle attività umaneper cui noi le abbiamo riassunte logicamente in unacorrente sola.

Da questo nostro breve riassunto risulta ora un'altra cosa: sequeste correnti concepiscono le forme dell'attività umana come attivitàdistinte e ciò non possono fare se non prescindendo dall'originaria attivitàumanaperché è questa attività che distingueil loro prescinderealtro non è che un non accorgersene. In questo è appunto la loro empiricitàla loro superficialità.

Ma intanto quell'attività originaria che esse neganoè in esse presente per distinguere le sue forme come Dio era presenteall'Innominato proprio allorché ne dubitava; ese quest'attività èappunto la Filosofiaanche quelle correnti sono filosofia nongià nei distintima nell'atto del distinguere.

Infatti quelle correnti non si formano negli altri campideterminati del saperema ai margini appunto dell'attività del pensieronel seno stesso dei movimenti filosofici originariper opera degli astridi seconda grandezza della Filosofia ufficiale: se ne incolpa oggi ingiustamenteil positivismoperché è oggi di moda non approfondire questomovimentonon riviverlo e considerarlo come pensatoma in realtà nessunmovimento nella Storia della Filosofia ne è stato immuneneanche l'attualismo.

 

Oraricondotte le correnti empiriche all'attivitàoriginaria del Pensieronella Filosofiane risulteranno le seguenticonseguenze: l'attività del pensieroscissa nelle sue forme derivateperdeil suo carattere di originarietà che passa alle forme le quali diventano - comeabbiamo detto -attività autonomedistinte e definiteessa viene perciòannullata; questo annullamento riguarda soltanto l'attività del pensiero cometalecioè come originariama - poiché non si può negare che il pensieroesista e che pensi - essa diviene attività autonomadistinta e definitacome tutte le altre; cessando di essere attività originaria e divenendoattività autonomacessa al tempo stesso di essere il presupposto di qualsiasistudio per divenire l'oggetto di uno studio determinatoche è appunto laFilosofia.

Siamocome ognun vedetornati al punto di partenza perchéla Filosofia come attività autonoma è la giustificazione di tutte le antitesie di tutte le negazioni di cui ci siamo sbarazzatie la sua autonomia è laconseguenza delle distinzioni presupposte ed è a sua volta la causadella limitazione del suo campo di attività.

Ma non è nostra intenzione tornare indietroe noi loabbiamo fatto solo per potere andar più sicuramente avantiper esaminare cioèquali saranno le conseguenze logiche di questa empirica limitazione del campodella Filosofia.

Limitare l'illimitato è cosa tutt'altro che facilespecieper chi è avvezzo a prescindere dall'attività del pensiero e che ha il propriotroppo… limitato; e questa difficoltà non poteva non prospettarsi anche dopo chele empiriche limitazioni erano state poste e presupposte: anche cosìdiminuita la Filosofiadopo che il problema era stato deliberatamente tolto dimezzosorgevano infiniti problemi proprio in conseguenza di quelledistinzioni. Questi problemi non potevano non preoccupare quelli chesbarazzandosi del primoavevano creduto di evitare la difficoltà; e lalimitatezza dell'ingegno empirico dei filosofi ufficiali affidava lo studio diogni singolo problema ad uno speciale ramo della Filosofiadel qual ramo quelproblema veniva a costituire naturalmente l'oggetto di studio finché daesso non ne sorgevano altri e con essi altre branche della Filosofiaequelche più all'ufficialità filosofica importanuove cattedre universitarie. Cosisorsero la Psicologiala Logical'Eticala Sociologial'Esteticala Metafisica suddivisa a sua volta in AntropogoniaTeogonia e Cosmogoniala Teologiala Teleologiala Deontologiala Pedagogia ancora suddivisa in PsicologiainfantileDidattica e Moralee poi le Filosofie specialicome quella del Dirittodella Storia e della Religioneedancora le Storie della Filosofia e della Pedagogiané atanta mania distintiva la corrente accenna ancora a fermarsi.

 

Non ci fermeremo neanche un momento ad esaminare lalegittimità di tante discipline filosofichesia perché perderemmol'obbiettivo propostocisia perché necessariamente dovremmo uscire dai limitipreventivamente imposti al nostro lavoro: del resto in questo esame non faremmoche ripeter quanto già dicemmoin quanto è già ovvio chese non crediamoalla esistenza di attività autonome e distintecioè alla possibilità chel'attività originaria del pensiero si scinda nelle sue formea più forteragione non possiamo considerare quest'attività del pensiero già scissa epoi sottoscissa in quelle che sarebbero le sue attivitàe poi scisse ancorqueste così all'infinito. Ma su di un punto importantissimo non possiamoassolutamente sorvolaresul problema cioè della cosiddetta Pedagogiache ci ha indotti a premettere una non lieve introduzione appunto perché noiintendiamo procedere più sicuramente e più risolutamente alla sua soluzione.

Intanto il porre il problema della Pedagogia come a séstantee quindi la Pedagogia stessa come disciplina autonoma e distintasuddivisa a sua volta nelle sottobranche della Psicologia infantiledella Didatticadella Morale e della Storia della Pedagogiapresuppone l'accettazione di alcune condizioni indispensabilie cioè: a) - ladeterminazionecioè la limitazione dell'oggetto di studio; b) - lapossibilità di questa limitazione e determinazione come caratteri essenzialidella sua autonomia; c) - la possibilità che essa si scinda ancora in altresottodivisioni.

Ora abbiamo detto che determinare e distinguere significa definireappunto perché solo la definizione può darci i limitiledeterminazioni e può quindi conferire i caratteri dell'autonomia ai distinti:è necessario dunqueperché la Pedagogia sia possibile come disciplinafilosofica autonoma e distintaprima di tuttoche sia definita. Oraeffettivamente le definizioni di essa non mancanoed anzi la loromolteplicità è la prima prova che... manca la definizione esatta; mapoichénoi vogliamo esser sempre esaurientine adottiamo una come punto di partenzaquella cioè in cui pare che si accordi la maggioranza dei trattatisti: "LaPedagogia è la Scienza dell'Educazione". Se non che l'accettazione diquesta definizione implica ancora l'accettazione di altre due condizioniessenzialie cioè che essa possa esser considerata una Scienza e che siproponga come suo compito essenzialecioè che abbia come oggetto di studioilproblema dell'educazione.

Ma ecco qui le prime difficoltà contro cui si va ad urtare:in primo luogo la parola "scienza" non si sa se si debbaintenderla nel suo significato razionale di forma scientifica dell'attivitàdel pensiero che inventa e scopre per poi sistemareoppure in quello empiricodi sistemazione già fatta di invenzioni e scopertedi forma scientificapresupposta alle invenzioni ed alle scoperte o di sistemazione già data.La definizione non precisa questo puntoma è chiaro che essa intendariferirsi alla seconda interpretazione in quanto essa parte da una implicitaammissione della distinzione e dell'autonomia delle attività umane il cheesclude ogni attività originaria come presupposta alle sue forme: consideradunque la Pedagogia una Scienza distinta ed autonoma dalle altrecioèuna Scienza empirica come le altre.

Stabilito ciò - poiché una scienza empiricamenteconsiderata deve avere come oggetto di studio dei rapporti costantidiversamente si risolverebbe nuovamente nella forma scientifica dell'attivitàumana da cui si è voluto prescindere - è chiaro checoerentemente con ladefinizione su accennatai termini di questo rapporto non possono essere chei termini stessi del problema dell'educazione: l'educatore e l'educando. La Pedagogiasarebbe dunque la Scienza che studia il rapporto intercorrente tra educatoreed educando; ma con ciò non abbiamo detto ancora nulla: bisogna determinaree dimostrare la costanza del rapporto e stabilire ancora la nettadistinzione dei due termini perché il rapporto stesso sia possibileché maipuò esservi rapporto tra due termini non distinti.

E siamo qui alla più grave delle difficoltà: i trattatistila sfuggono empiricamente ed ammettono senz'altro che educatore sia l'etàadulta ed educando l'infanzia; ma in questo modo il problemanon è per nulla risoluto. La divisione della Vita umana in età distinte nonpuò avere che un valore empiricoconvenzionalema non risponde affatto adalcun criterio di razionalità: nessuno ha potuto stabilire con criteriscientifici l'anno preciso in cui l'infanzia diviene età adultaqualcuno soltanto ha posto dei termini arbitrari non senza prospettaregl'inconvenienti di quest'arbitrarietà stessa; chi poi si è fermato sullacultura e sullo sviluppo fisico e morale per porre un criterio alla distinzionedei terminiè caduto in un altro arbitrio in quanto questi criteri non hannonulla a che fare con l'età dell'uomoma sono posti da circostanzecompletamente estranee al nostro stato civile.

Si è tentato sciogliere questa difficoltà col definireanche l'educazione come insieme dei mezzi adoperati per modificare inostri i caratteri fisici intellettuali e morali in un dato senso e per undeterminato finema in realtà questa nuova definizione non solo nonrisolve la difficoltàma la mette addirittura in maggiore evidenza:affermando infatti che la educazione è modificazione affermaimplicitamente che é educabile ciò che è modificabileche si è cioèeducabili finché si abbiano caratteri modificabili. Ora chi si sente in gradodi stabilire fino a quale età i caratteri umani siano modificabili? La piùelementare delle esperienze dimostra che la modificabilità dei nostri caratterifisiciintellettuali e morali dura quanto dura la nostra vita stessachecontinuamente noi regoliamo il nostro movimento e lottiamo per preservarci dallemalattieche continuamente apprendiamo delle nuove cognizioniche finoall'estremo giorno della nostra vita i nostri sentimenti possono mutare. Èchiaro dunque che la distinzione dei termini è impossibile perchéqualsiasi criterio razionale esclude che vi siano varie forme di vita nella Vitaumanaperché razionalmente non esiste né l'infanziané l'etàadultama soltanto l'umanità.

 

Caduti i termini del rapportocade anche il rapporto stesso:l'infanzia non é qualche cosa di distinto e di autonomo dell'etàadultaè semplicemente l'età adulta del domani come questa è l'infanziadi ieried anche ciò empiricamente considerandoleperché in realtàneanche questa distinzione regge se noi consideriamo che nel bambino si educasoltanto l'uomo per cui il fine dell'educazione è sempre l'Umanitàcuil'educazione stessa necessariamente tendecomecolui che empiricamente educasi trasforma in bambinosia in quanto ha dai bambini da apprenderesia inquanto ha da adattarsi alla loro mentalitàcosa che non può se non rivivendonel suo pensiero tutta la sua Vita.

In altri termininoi non possiamo trovare nessun criteriorazionale che giustifichi la distinzioneil dualismo fra educatore ed educandoperché le condizioni che realizzano l'autonomia e la distinzione del primovengono a mancare prima perché educatori si può essere solo inrelazione con l'educandoda cui pertanto non si può prescinderepoiperché l'efficacia educativa dell'educatore consiste nel rifarenelrivivere la sua vita di educandoinfine perché l'educatorecoll'educare educa se stesso e quindi diviene educando; e rovesciando itermini si avrà prima che l'educando è in quanto è in relazione con l'educatorepoiché esso si educa perché divenga a sua volta educatoreinfine che essoeduca il suo educatore nell'atto stesso in cui viene educato.

Oraposta così la questionerisoluti i termini delrapporto in un termine solo che è l'Umanità in seno alla quale non èpossibilese non empiricamentealcuna distinzione in età autonome e distintee dimostratoin conseguenzache il problema dell'educazione riguarda tuttal'Umanità in quanto Pensiero - risulterà chiaro il carattere storicodella stessa educazione. L'educazione è infatti svolgimento continuodella personalità umanasvolgimento che non può arrestarsi se non conl'arrestarsi dell'attività umanaappunto perché è questa stessa attivitàumanaperché è Storia: questo svolgimento continuo esclude da per sestesso la costanza del rapportodopo che il rapporto stesso é statoescluso con l'eliminazione dei termini empiricamente ad esso presupposti. èchiaro che la Pedagogia non può dunque essere considerata una Scienzanel senso empirico.

 

Le difficoltà da noi accennate fecero sì che alcunecorrenti empiriche modificassero alquanto la definizione con lo stabilireche la Pedagogia è la "teoria dell'educazione": altrasoluzione infelice del problema destinata a lasciar le cose come sono senzaportare alcun contributo alla chiarificazioneperché non può esservi una solateoria dell'educazionema tante quanti sono i cosiddetti pedagogisti egli educatoridi guisa che vi sarebbero tante Pedagogie quanti sono gli uominicioè non vi sarebbe nessuna Pedagogia.

Il difetto è in questo: che il problema dell'educazioneè stato imposto empiricamentecioè è stato imposto come problema a sé.Infatti se si premette che il problema dell'educazione - come è evidentenella definizione da cui siamo partiti - sia l'oggetto distintivo dellaPedagogiaè evidente che tutte le altre branche del Sapere vengono adessere considerate come estranee al problema stesso: esulerebbe quindi daogni disciplinache non sia la Pedagogiaogni funzione educativa. Se non chequesta conclusione logicaricavabile dalla definizione in parolaé in apertocontrasto col concetto anche empirico dell'educazione come modificazionedi caratteri per il fatto che qualsiasi disciplina mira a questo scopo: nonè possibile quindi che il problema dell'educazione interessi una disciplinapiuttosto che un'altrain quanto ciascuna - mirandoper proprio contoalla modificazionedei caratteri umani in un dato senso e per un determinato fine - non puòconsiderarsi estranea alla posizione ed alta soluzione del problema educativo.Resta dunque assodato che la Pedagogia come disciplina filosofica non è definibilein quanto non presentaanzi escludei caratteri essenziali dell'autonomia.

Ed allora è ovvio che non possa parlarsi di una Psicologiainfantile (se pur può parlarsi addirittura di una Psicologia comedisciplina filosofica autonoma e distinta) autoautoperché essa e stata svuotatadel suo oggetto di studio che dovrebbe naturalmente essere la "psicheinfantile": questa si risolve logicamente nella psiche umanaconsiderata nel suo svolgimento storico checon una rigorosità logicastraordinarial'accompagna e s'identifica con essa; che non possa parlarsi diuna Didattica autonoma come metodologia perché essa empiricamentesi risolve nelle discipline singole per la funzione educativa che esercitanoerazionalmente si risolve nell'attività originaria del pensiero in quanto miraalla formazione della concreta personalità. Resta la Morale come disciplinafilosofica autonomache ha come oggetto di studio le azioni umanema essasi distrugge da sé allorché afferma che il criterio valutativo della nostracondotta e la libertà e la responsabilità umana ed allorchédivenendosottobranca della Pedagogiafa consistere l'educazione morale nell'affermazionedi questi due principi. La libertànon intesa come licenza esfrenatezzama come responsabilità delle proprie azioninon è infattie non può esser diversa dall'attività originaria del pensiero in cui sirisolveperché non può esserci responsabilitàsenza libertàlibertà senza attività liberacioè originaria delpensiero. Néa più forte ragionepuò reggersi la Storia dellaPedagogiaperchéessendo l'educazione niente altro che svolgimentostorico ed essendo a sua volta la storia l'educazione progressiva dell'umanitàessa si risolverebbe in una Storia della Storiain una espressione tautologia.

Nulla dunque più resta della Pedagogia: non la sua definibilità- e quindi la sua autonomia e distinzione - perché essa al lumedella criticasi è completamente dissoluta nell'attività originaria delpensierocioè nella Filosofia; non la determinazione del suo oggetto distudio come rapporto costante perché il problema dell'educazione umana siè risolutoin quanto svolgimentonella Storia; non la suascindibilità in sottobranche come attività autonome in quanto questerivelandosi come semplici forme di un'attività originaria unicanon possonoavere i caratteri essenziali dell'autonomianon - aggiungiamo adesso - il nomeperchéessendo - come abbiamo dimostrato - l'educazione un fattoumano anzi essendo essa la stessa umanità nella sua storiasarebbe ormai tempodi abbandonare al suo destino un termine chenella sua etimologiaci ricordaquella empirica distinzione delle età umane che il pensiero contemporaneo halogicamente e storicamente superate.

 

Il problema dell'educazione ècome di vedetroppocomplesso e troppo importante perché lo si possa rimpicciolire nei modestilimiti di una disciplina empiricamente concepitadi quella cioè che si chiamacomunemente una materia d'insegnamento; è troppo complesso e troppo importanteper poter esserenon diremo risolutoma neanche prospettato in un manualescolastico osia purein un trattato scientifico che pretenda sistemare ciòche non è sistemmmabile. Noiper un momento soltanto e per ragioni polemicheci siamo dovuti mettere sul terreno dei nostri ipotetici contraddittori edaccettare che l'educazione sia la modificazione continua della nostra vita:dopo quanto abbiamo dettocrediamo di poter affermare che l'educazione siala Vita umana stessain quanto essa è il carattere essenziale chedistingue l'umanità dagli esseri inferioridagli animali cioè edai bruti. Una definizione del genere implicherebbe invece una distinzione tra educazionee vita umanadistinzione impossibile in quanto vivere da uominié esclusivamente educarsisvolgersi ragionevolmente e nonsemplicemente alimentarsi come gli animali o addirittura vegetarecome le piante.

Ora è innegabile che il Gentile abbia originalmenteimpostato in questi termini il problemama é anche indubbiamente vero chequesta coraggiosa impostazione del problema da parte del Maestrolungi dallosvilupparsisia divenuta invece una timida esigenza nei discepoli da cui invanosi è attesa la soluzione del problema dell'educazione nella Filosofia. è perquesto che noi ai fiumi d'inchiostro ed alle tonnellate di carta impiegate dagliattualisti crediamo opportuno opporre questi versi del Giusti in cui ilproblema stesso è impostato con maggior coraggiocon maggiore chiarezza esoprattutto con maggiore efficacia:

Presso alla cullain dolce atto d'amore

che intendere non può chi non è madre

tacita siede e immobile: ma il volto

nel suo vezzoso bambinel rapito

ardesi turba e rasserena in questi

pensieri della mente inebriata:

"Teco vegliar m'e caro

gioirpianger con te: beata e pura

si fa l'anima mia di cura in cura:

in ogni pena un nuovo affetto imparo.

Esultaalla materna ombra fidato

bellissimo innocente!

Se venga il dì che amor soavemente

nel nome mio ti sciolga il labbro amato;

come l'ingenua gote e le infantili

labbra t'adorna di bellezza il fiore

a te così nel core

affetti educherò tutti gentili.

Così piena e compita

avrò l'opra che vuol da me Natura:

sarò dell'amor tuo lieta e sicura

come data t'avessi un'altra vita

Goder d'ogni mio bene

d'ogni mia contentezza il ciel ti dia!

Io della vita nella dubbia via

il peso porterò delle tue pene.

Oh! re per nuovo obbietto

un dì t'affanna giovanil desio

ti risovvenga del materno affetto!

Nessun mai t'amerà dell'amor mio

e tu nel tuo dolor solo e pensoso

ricercherai la madree in queste braccia

asconderai la faccia

nel sen che mai non cangia avrai riposo.

.

Ci asteniamo da qualsiasi commentoma non possiamo nonrilevare come la relatività e l'empiricità dei termini educandoed educatore sia affermata meravigliosamente allorché si dice che"nessuna donna che non sia madre possa intender l'atto d'amore in cui èl'educazione"; come sia affermata l'umanità e la unità dei termini stessiallorchémentre la madre educapoi impara dal figlio un nuovo affetto adogni pena e l'anima sua si fa pura e beata ad ogni preoccupazione; come siaaffermata l'identificazione tra educazione e vita umana allorché si afferma chel'opera che vuol da noi la Natura non può dirsi compiuta coll'aver datoall'infanzia la nascita fisica; come infine sia affermata la storicitàdell'educazione allorché nella mente della madre si prospetta il successivosvolgersi della personalità del fanciullo finché egli viene a balbettare leprime dolci sillabefinché egli - preso da altri affetti - non abbia modo diconvincersi che nessuno di essi può essere più forte o più disinteressato diquello della propria genitrice.

Ai filosofi ufficialiripetiamoè sempre mancato ilcoraggio di una impostazione così radicale e così efficace del problema.

 

Maprima di concludereveniamo ad un'ultima questione: laindiscutibile complessità del problema della educazione ha dovuto senza dubbioatterrire i trattatisti che hanno pensato a distinguere in esso un'educazionefisicaun'educazione intellettualeun'educazione moraleun'educazioneartisticaun'educazione scientificauna educazione politicaun'educazione religiosa e così vianella illusione di trovare unasemplificazione nei distinti.

Maessendo l'educazione - per quel che abbiamo detto- attività del pensiero è ovvio che non possa neanche in questo casoparlarsi di educazioni distintebensì e semplicemente di forme distintedell'unica educazione umana. Questa si concretizza in quanto originarietàinquelle formenon già nel senso della successione temporale e spazialema inquello della coesistenza delle forme stesse perché una forma di educazionesarebbe assolutamente impossibile se dovesse astrarsi dalle altre derivate e daquella originaria. L'uomo non è diverso dalla sua personalità fisicadallasua culturadai suoi sentimenti; dalla sua attività fantasticadalle sueconoscenze scientifichedalla sua nazionalitàdalle sue credenze religioseperché sono tutti questi elementi che lo fanno "uomo" prima ancora difarlo artista o scienziatouomo di stato od atleta..

Il problema dell'educazione è - ci pare di averlo più cheesaurientemente dimostrato - problema di autoformazione della personalitàumana.

CONCLUSIONE

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La Filosofia come unità del Sapere

 

Il risolvere tutte le forme derivate nella loro attivitàoriginariae cioè tutte le discipline empiricamente considerate nellaFilosofiaè lo stesso che porre la Filosofia medesima come unità delSapere. Infattiallorquando si è provato che quest'attività originariacostituisce il presupposto essenziale per l'organizzazione di ognisingola disciplinaci pare che sia del pari dimostrato che la Filosofiase non è considerata come prodotto e quindi come sistemama comeattività del pensiero e quindi come creatrice delle sue forme checoncretizza storicamentedebba costituire l'essenziale fondamento unitariodi tutte le disciplina comunque considerate.

Il problema non è affatto nuovo: fin dal suo sorgere e dalsuo denominarsila Filosofiavolendo essere amore del Sapere e quindi drammaticaaspirazione al possesso dell'oggetto amatoveniva ad identificarsi colSapere stesso - sicché le più disparate cognizioni scientificheartistichepolitiche e religiose venivano considerate come facenti parte integrante dellaFilosofia. Cosimentre TaleteAnassimandro ed Anassimene danno una base miticaalla ricerca dell'archéd'altro canto é ad essi che si deve un primotentativo di organizzazione scientifica delle nozioni con l'indaginenaturalistica; così nelle espressioni artistiche del poeta Senofane di Colofonetroviamo una critica del movimentoempiricamente consideratoin cui son lelontane origini del Calcolo Infinitesimale; così Pitagora è conosciutocome fondatore di una setta religiosa e politica ed in pari tempo a lui siattribuisce la famosa tavola della moltiplicazione ed il teorema delrapporto fra i cateti e l'ipotenusa nel triangolo rettangolo - e via fino aPlatonead Aristotele.

Nella Filosofia Greca però l'impostazione del problema èprettamente statica e statica è quindi questa unitàenon poteva esser diversamente per il carattere intellettualista delpensiero ellenico cheprescindendo dall'attività originaria del pensieroponeva un oggetto del Sapere come distinto ed opposto al Sapere stesso diguisa che l'unità del Sapere era da intendersi piuttosto come unitàdegli oggetti del Saperecioè come unità delle cognizioni scientifiche.Data una simile interpretazioneè naturale che la Filosofia venisse concepitapiuttosto come una "Enciclopedia delle diverse cognizioni" anzichécome "l'attività originaria umana che quelle cognizioni medesime crea econcretizza storicamentesistemandole"come sistemazione già avvenutaanziché come atto del sistemare.

Né diversa impostazione ha saputo date la FilosofiaMedioevale che non è riuscita a liberarsi dalla influenza dell'aristotelismocome "pensato".

Perciòse non è nuovo il problemadel tutto nuova èl'impostazione che ne fa il pensiero contemporaneo il quale si è trovatodinanzi a due gravi difficoltà che la impostazione precedente avevadeterminato: a) la considerazionedi indole empiricache ormai lo sviluppostraordinarioche l'attività del pensiero ha raggiunto in tutte le sue formederivateimpone una specializzazione empirica dell'attività umana nelle formestesse per cui non è più possibile oggi pervenire alla unificazione delSaperefatta consistere nella somma di tutte le sue cognizioni comunqueordinate; b) la considerazione di carattere razionale che la Filosofia comeEnciclopedia di cognizioni verrebbe a porsi come diversa ed opposta alla Filosofiacome attività originaria del pensieroper cui quest'attività medesimaverrebbe ad essere nello stesso tempo originaria delle sue forme ed autonomae distinta da queste forme stesse.

Il pensiero contemporaneo supera pertanto lacontraddittorietà della impostazione statica del problema e la respingeconcludendo che l'unità del Sapere non possa raggiungersi nell'unificazionedelle cognizionicioè nel pensatoin quanto o esse vengonopresupposte all'attività originaria del pensiero e quindi vengonoconsiderate come prodotto di attività distinte ed autonome ed alloral'unificazione di ciò che è distinto ed autonomo non è possibile; oppure essevengono date come unificabili ed alloraper quel che dicemmo inprecedenza non essendovi altro criterio in base a cui si possa unificareall'infuori dell'attività originaria del pensiero è appunto in essa lasola unità possibile del Sapere.

Se ne conclude che "l'unità del Sapere" è tuttanel processo di autoformazione della personalità umana in quanto ilSapere non è nulla di presupposto e di estraneo all'attività del pensierononessendo possibile concepire che si dia in qualsiasi disciplina una cognizionedata una volta per sempre; ed allora questa unità è soltanto ilfarsi Storia dell'Umanitàcioè del Pensiero che non può farsi Storia se nonautoformandosi.

 

Siamo dunquein questa nostra modesta argomentazionepartiti dallanegazione della Filosofiafondandoci sulla sua contraddittorietàsulla suaastrattezzasulla sua inutilitàper arrivare socraticamente al puntoestremamente oppostoalla prova cioè della sua coerenzadella suaconcretezzadella sua indispensabilità ed imprescindibilità per qualsiasiattività umana omeglioper qualsiasi forma di quest'unica attività. Nessunaforma di attività è possibile nell'astrazione dalla Filosofia e quindi nessunadisciplinaanche empiricamente consideratanon soloma neanche la vita umanain quanto attivitàin quanto pensieroin quanto educazione ed autoformazionepuò prescindernesia pure nelle sue più modeste esplicazioni concreteperché essaa differenza di quella degli esseri inferioriè essenzialmentevita del pensiero.